domenica 1 gennaio 2012

CREATIVITA' E NEUROPSICOLOGIA


 Esistono diversi modelli neuropsicologici della creatività, in parte basati sul concetto di <information processing>, cioé elaborazione delle informazioni. Secondo questo modello il nostro cervello é costituito da un insieme di moduli che agiscono in parallelo, trasferendo l'informazione prodotta da uno all'altro secondo linee neuronali pre-formate. 

Ogni modulo possiede una architettura che gli consente un numero finito di operazioni neuronali, come il produrre, inibire o filtrare un impulso nervoso. Ogni modulo, poi, riceve afferenze dagli altri moduli (sia prossimi che distanti) e da percettori periferici, che veicolano al modulo una frazione dei segnali in ingresso nel nostro organismo, sia di natura ambientale (stimoli sonori, visivi, etc), sia di natura interna (livelli di elementi nutrizionali, stato del sistema immunitario, battito cardiaco, etc). Il segnale in ingresso viene sottoposto ad elaborazione da parte di ogni modulo interessato: solo  una frazione di moduli cerebrali é infatti ritenuta essere attivata da un particolare insieme di segnali in ingresso. 

In relazione ai messaggi provenienti dai moduli collegati, la cui relazione con il modulo attivo é predefinita dalla architettura cerebrale sviluppatasi secondo i programmi genetici, il segnale giunto al modulo attivo produrrà o meno una risposta: cioé verrà trasferito ad altri moduli sino ad una azione periferica (muovere un fascio muscolare, liberare un ormone, etc); oppure sarà inibito (il segnale dopo l'elaborazione in quel particolare modulo si estingue).  

L'estinzione del segnale per inibizione, o raggiungimento di bassa soglia di stimolazione determina, per conseguenza, che altri segnali, che hanno superato la soglia di trasferimento dei moduli che li hanno elaborati, diventano effettivi sul piano della produzione di una azione (che a volte consiste nel non fare nulla, stare in attesa di  altri messaggi).

La <competizione> tra moduli governa il processo di elaborazione dei segnali: alcuni moduli sono organizzati in modo da essere più capaci di altri di lasciare passare un segnale, poiché l'azione che ne deriva appare rilevante per la sopravvivenza. In particolari circostanze, però, moduli meno <importanti> possono <prendere il sopravvento>, e  governare il nostro comportamento, anche solo per una frazione di tempo.

Il processo di elaborazione del segnale non é però governato solo da una anarchica competizione tra moduli: esistono circuiti neuronali il cui compito é di favorire il processo di elaborazione del segnale e di organizzazione delle risposte in modo che l'esito sia coerente con gli obbiettivi di sopravvivenza e riproduzione dell'organismo. Tra i circuiti che svolgono questa funzione organizzatrice ve ne sono diversi che utilizzano come trasmettitore tra neurone e neurone alcune molecole il cui studio ha permesso un notevole progresso nella conoscenza del cervello: dopamina, serotonina, noradrenalina. 

Oggi sappiamo che la dopamina, ad esempio, é coinvolta nei processi di fissazione dei ricordi, probabilmente attraverso una azione sui processi che indichiamo con il termine <attenzione> e per intervento nei cosiddetti <circuiti del piacere> (o <della ricompensa>); la serotonina, invece, svolgerebbe un ruolo importante nel controllo degli <impulsi>, nel filtrare, cioé, un tipo particolare di risposta, immediata, piuttosto che un'altra, più lenta.

Alterazioni nel funzionamento dei circuiti che utilizzano le monoamine, il nome chimico di questi neurotrasmettitori, sono ritenuti essere causa di malfunzionamento cerebrale in molti disturbi psichiatrici, nei quali la presenza di specifici sintomi si accompagna spesso ad alterazioni nel funzionamento di alcune, o molte, funzioni cognitive. Livelli cerebrali elevati di dopamina, come possono essere prodotti dall'assunzione di certe sostanze chimiche (ad esempio l'amfetamina) usate a scopo ricreativo (le famose <droghe>) possono condurre ad elaborazioni mentali abnormi, con aumento dei livelli di attenzione prestati a stimoli anche irrilevanti, e tendenza alla rielaborazione cognitiva di tali stimolazioni in forma paranoicale, cioé delirante, in genere con temi di minaccia o persecuzione.

Non é improbabile che stati di funzionamento particolari nei medesimi circuiti monoaminergici possano condurre ad elaborazioni mentali inusuali, suscettibili di condurre ad un atto creativo, o comunque di accendere la scintilla dell'innovazione.

Sarnoff Mednick é uno psichiatra che ha offerto molti ed importanti contributi alla comprensione delle psicosi; é stato anche un pioniere dello studio della creatività attraverso l'utilizzo di moderne metodiche neuropsicologiche. Negli anni sessanta Mednick ha proposto un suo modello neurobiologico di creatività, che risentiva delle sue ricerche sulla schizofrenia. 

Accettando l'idea che la creatività consista essenzialmente nel produrre nuove combinazioni di elementi  che siano utili, Mednick ha sostenuto che la base del processo di rielaborazioni non poteva che essere l'insieme degli elementi  suscettibili di associazioni registrati nel cervello. Tali elementi sarebbero registrati in forma discreta, come memoria di impressioni, stimolazioni, informazioni apprese, eventi favorevoli o negativi, ed il loro collegamento può avvenire solo in relazione a processi che richiedano la formazione di un legame. In determinate condizioni, stati mentali che conducano ad associare tra loro elementi normalmente tenuti separati potrebbero favorire la creazione di nuove combinazioni,  alcune delle quali suscettibili di risultare innovative ed originali. 

Individui che pensano per <immagini>, ad esempio, é possibile che siano portati ad associare tra loro qualità di un oggetto che altri trascurerebbero. In effetti, la capacità di <pensare per immagini> é una qualità descritta in alcuni grandi innovatori, l'esempio più celebre essendo quello di Einstein.

A partire dalle osservazioni di Mednick, negli anni sessanta e settanta numerosi studi esplorarono la relazione tra creatività e schizofrenia, una disturbo mentale nel quale la capacità di formulare associazioni mentali strane o inusuali appare maggiore che in ogni altra condizione. Ai principi del secolo, in effetti, lo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler elaborò un modello di quella che allora era chiamata, da Kraepelin, Dementia Praecox, in base al quale il disturbo eracaratterizzato da una abnorme ed allentata capacità di associazione mentale, da una conseguente alterazione della capacità di integrare  e emozioni ed i sentimenti (anaffettività), da cui conseguiva una strutturale ambivalenza nelle relazioni con il Sé e con gli altri, sino alla chiusura nell'autismo. Bleuler considerava tali aspetti predominanti nella Dementia Praecox, ed i suoi allievi riassunsero le sue formulazioni in una popolare formula detta delle <quattro A> (allentamento delle associazioni mentali, anaffettività, ambivalenza, autismo). Sulla base del proprio modello Bleuler ridenominò la  Dementia Praecox come <schizofrenia>, la malattia, cioé, della <mente scissa>.

Tenendo a mente l'approccio di Bleuler, Autori ipotizzarono che il presunto allentamento delle capacità associative mentali dei pazienti schizofrenici fosse causa di una tendenza ad associazioni mentali inusuali e conseguenti comportamenti bizzarri. Una analoga tendenza alla fluidità delle associazioni, con tendenza alla iperinclusività  degli elementi, sino alla produzione di collegamenti improbabili, era riportata anche in studi psicometrici condotti su individui creativi. L'ipotesi conseguente era che nei creativi fosse presente uno stile di pensiero di tipo schizofrenico, senza però l'angoscia e la destrutturazione che si manifestavano nella schizofrenia. 

A conferma di questa ipotesi, nel medesimo periodo l'Islandese Karlsson, adottando un metodo di indagine particolarmente originale, dimostrò che la frequenza di psicosi di tipo schizofrenico, o anche maniaco-depressiva (oggi chiamata disturbo bipolare), appariva molto più elevata tra i parenti prossimi di soggetti registrati come creativi nel WHO'sWHO di quanto non fosse tra i non-creativi (individui citati nel WHO's WHO perché ricchi o solamente celebri, ma  non in virtù della propria creatività).

Gli individui particolarmente creativi mostrano, in effetti, una tendenza ad un pensiero <allusivo> e sembrano capaci, come suggerito dagli studi di Albert Rothenberg, di unire in un unico concetto due o  più idee anche molto distanti, se non in contraddizione, tra loro, pure senza essere disturbati da tali apparenti contraddizioni. Sembra che i soggetti creativi, almeno quelli indagati negli studi degli anni sessanta e settanta, siano capaci di ampliare l'ampiezza dei propri  livelli attentivi, acquistando una maggiore consapevolezza degli stimoli, sia ambientali che interni. In effetti, la fluenza ideativa dei creativi e la loro asserita preferenza per la complessità potrebbero derivare da più elevati livelli di attenzione (o anche dalla necessità di raggiungere più elevati livelli di attenzione), risultandone una aumentata frequenza di stimolazione delle aree cerebrali. 

I <creativi>, quindi, sarebbero come gli schizofrenici <sommersi> da stimoli, ma a differenza dei pazienti psicotici non verrebbero sopraffatti da questo aumentato livello di stimolazione, possedendo una robusta, o forse solo integra, capacità di elaborazione. Più stimoli da elaborare significa maggiore opportunità di associazione, e forse questo si accompagna anche ad una aumentata velocità di elaborazione, che rende possibile concepire e scartare un maggior numero di collegamenti. 

Gli studi che in seguito hanno cercato di confermare queste iniziali intuizioni hanno però dato esito negativo. Rimane suggestiva, però, l'ipotesi che una maggiore fluidità di pensiero possa condurre ad una maggiore creatività proprio in virtù di una certa disinibizione nel formare legami tra elementi tra loro anche remoti. Tale maggiore disinibizione si esprimerebbe anche sul piano comportamentale, giustificando la supposta tendenza alla eccentricità dei creativi, ma  anche sul piano affettivo, con un aumentato rischio di sviluppare un disturbo mentale. Sebbene in proposito le evidenze siano ancora contraddittorie, molti studi sembrano suggerire un aumentato rischio di malattie mentali tra i soggetti creativi, in particolare tra coloro che esprimono la propria creatività in campo artistico. 

Per alcuni ricercatori la malattia mentale, o meglio, alcune malattie mentali (soprattutto la psicosi maniaco-depressiva) possederebbero caratteristiche tali da favorire, addirittura, l'espressione della creatività (Per un approfondimento: Creativita' e psicopatologia).

Alcuni studi indicherebbero che anche vere e proprie lesioni cerebrali, come quelle che derivano da infarti a sede cerebrale, o addirittura prodotte nel corso della degenerazione demenziale, possano accompagnarsi ad un aumentata probabilità di esprimersi creativamente.

In generale é vero che lesioni cerebrali estese producono una sostanziale compromissione della capacità di esprimersi creativamente in artisti professionisti. Tuttavia la natura della compromissione spesso é selettiva, analogamente a quanto accade per il linguaggio. In effetti l'osservazione che lesioni circoscritte nelle aree  temporo-parietali dell'emisfero di sinistra conducevano a deficit selettivi nell'uso del linguaggio costituì un importante contributo alla formulazione di un modello neurologico del funzionamento delle capacità linguistiche.

Analogamente, almeno per quanto riguarda la musica, é stato osservato che lesioni circoscritte nell'emisfero di destra producono deficit selettivi nella percezione e nell'esecuzione musicale. Ciò é comprensibile se si tiene presente l'estrema complessità dell'agire musicale: esso comprende funzioni uditive (ascolto e riconoscimento dei suoni, della loro struttura tonale e della loro relazione armonica e melodica); funzioni visive (lettura delle notazioni musicali sullo spartito, sia in composizione che in esecuzione); funzioni prassiche (per l'esecuzione ma anche la composizione, in genere provata su di uno strumento); spesso funzioni linguistiche, nel canto, ma anche nella composizione (l'accompagnare una melodia con la voce é un atto comune, anche tra i non musicisti).

Molti studi indicano una sostanziale indipendenza dei due emisferi per quanto riguarda la musica: sebbene molte funzioni utilizzate dal musicista siano distribuiti ad entrambi gli emisferi, lesioni dell'emisfero di sinistra, che compromettono il linguaggio, solitamente non danneggiano le capacità musicali apprese (ma ne possono limitare l'espressione: ad esempio un paziente che riconosca una melodia ma non sappia dirne il titolo, o sia impedito nel riprodurla con il canto). Al contrario, lesioni dell'emisfero di destra, che spesso compromettono le capacità musicali apprese,  conducendo ad una sindrome denominata <amusia> (per analogia con l'afasia, che é la perdita della capacità linguistica su base lesionale), raramente compromettono il linguaggio (a meno che non siano contemporaneamente presenti lesioni all'emisfero controlaterale). 

Un aspetto interessante degli studi sulla neuropsicologia della musica é l'osservazione che pazienti afasici sembrano acquisire una maggiore capacità di recupero dell'espressione linguistica (quando ciò é possibile: per lesioni estese il recupero é impossibile) con tecniche che utilizzano il canto per la rieducazione della voce. In alcuni casi, la capacità di cantare é mantenuta anche in presenza di gravi forme di afasia. Qualcosa di simile, ma per motivi tuttora  ignoti, accade nella balbuzie: talora il paziente riesce ad esprimersi correttamente <cantando> la frase che vuole pronunciare, mentre commette errori quando la pronuncia in forma <prosaica>. 

Per quanto sia ovvio che le capacità artistiche non esauriscono tutto il potenziale creativo umano, pure é interessante l'osservazione di una relativa indipendenza dei due emisferi per quanto riguarda l'espressione artistica musicale e plastica. Pazienti con gravi deficit del linguaggio, per danno dell'emisfero sinistro, possono manifestare la completa preservazione delle proprie capacità musicali o pittoriche. Al contrario, lesioni all'emisfero di destra possono  compromettere totalmente la capacità di espressione artistica in ambito musicale o pittorico senza comportare danni di rilievo a carico del linguaggio.

Esistono poi rari casi nei quali la capacità di esprimersi creativamente, anche con notevole dignità artistica, é comparsa dopo una lesione cerebrale. Sino ad oggi sono stati descritti casi di composizione musicale o plastica insorti dopo lesioni che avevano interessato il lobo temporale anteriore di sinistra. L'acquisizione di nuove e mai utilizzate capacità di espressione artistica avviene, nei pazienti sino ad oggi descritti, in un contesto di aumentata disinibizione, cosa che ha suggerito agli Autori di questi studi che l'insorgenza delle nuove capacità artistiche sia avvenuta in conseguenza di una facilitazione paradossa da lesione di aree prima inibitorie. E' stato ipotizzato, anche in passato, che molte funzioni cerebrali si producano attraverso un selettivo controllo della loro espressione: esisterebbero aree cerebrali deputate alla inibizione delle risposte meno adattattive in relazione al contesto di azione. Al venire meno di tale inibizione, come può accadere per azione di qualche sostanza chimica, come l'alcool, o per lesione, da trauma o infarto o anche degenerazione primaria, capacità inespresse troverebbero modo di essere poste in essere.

Rimane senza risposta, almeno sino ad ora, se sia sufficiente la disinibizione per accendere la creatività di ognuno, o se invece sia necessaria una qualche forma di talento innato (o appreso ma poi messo da parte) perché la creatività possa emergere dal lavorio del nostro cervello.

La maggiore disinibizione non é l'unica qualità psicologica notata dagli Autori di questi recenti ed interessanti studi. I loro pazienti con abilità artistiche acquisite erano anche maggiormente portati alla compulsione, alla ripetizione cioé ossessiva di atti o comportamenti. Questo potrebbe avere facilitato l'emergere delle qualità artistiche, poiché la ripetizione conduce al miglioramento dei risultati, e buoni risultati stimolano poi altre prove.

I pazienti <creativi> erano anche più depressi dei non creativi, a parità di compromissione in altre aree neuro-motorie. L'osservazione é interessante, poiché un rischio maggiore di depressione é descritto in artisti professionisti sia in campo letterario che pittorico. Alcuni Autori sostengono che in questi artisti la depressione avrebbe  potenziato le capacità creative: gli stati meditativi favoriti dalla depressione, e la sofferenza intensa che la accompagna, sono ritenuti stimoli importanti per la comprensione dell'animo umano, permettendo quindi una migliore espressione dei sentimenti e delle emozioni sul piano artistico.

Una migliore conoscenza dei fondamenti neuro-psicologici dell'espressione artistica può sicuramente contribuire alla comprensione del funzionamento del cervello. Molte funzioni che contribuiscono all'agire artistico hanno carattere eminentemente non-linguistico, e sono pertanto meno facilmente esplorabili di altre qualita' psicologiche. D'altra parte molta sofferenza associata alle malattie neuro-psichiatriche é veicolata attraverso canali che non utilizzano il linguaggio, e la comprensione del funzionamento di queste capacità non-verbali può sicuramente contribuire ad una migliore comprensione delle malattie mentali.

L'arte, inoltre, ha accompagnato per millenni il cammino dell'uomo, ed é probabile che la speciazione dell'homo sapiens sia avvenuta in un contesto in cui l'espressione della creatività artistica era pienamente attiva. Il linguaggio stesso, base del carattere <sapiens> della nostra specie, non é altro che creatività cristallizzata: le parole sono <creazioni> fissate nell'uso dal consenso delle comunità umane che le hanno condivise. 

Secondo una teoria, la creatività artistica avrebbe favorito l'affermarsi dei primi gruppi umani attraverso lo scambio affettivo e relazionale implicito nell'arte. Cantare e suonare insieme, dipingere e guardare insieme i dipinti prodotti, scambiarsi vasi modellati in fogge rare, sono tutti modi di condivisione del Sè, che rafforzano la coesione del gruppo cui si appartiene. Per questo, forse, all'artista degli albori dell'umanità é stato offerto una porzione di cibo in più per il suo <inutile> lavoro, anche quando il suo agire lo isolava dal resto della sua comunità.

Anche la creatività scientifica deve avere seguito un percorso analogo, ma ancora poco si sa dei processi che conducono a <fare scoperte>. Ci possiamo basare solo sull'anedottica, sapiente ma poco affidabile, di coloro che tali scoperte hanno fatto. Molti, come Poincaré e Kekule, hanno enfatizzato il ruolo di processi <inconsci>, che avrebbero favorito l'emergere improvviso dell'Eureka della scoperta dopo un lento e faticoso lavorio. Altri, come Edison, hanno sempre sostenuto che l'invenzione é frutto di talento misto a perseveranza, in una proporzione dove la perseveranza largamente sopravanza il talento.

Le basi neuropsicologiche della creatività attendono ancora il loro scopritore. Il progresso delle neuroscienze ha permesso il raggiungimento di numerosi traguardi sulla strada della comprensione del funzionamento del nostro cervello, e sicuramente potranno offrire contributi importanti anche per quanto riguarda la comprensione di cosa rende alcuni individui maggiormente creativi rispetto ad altri.

Non é detto però che la comprensione completa, se mai lo sarà, del funzionamento del cervello possa dirci qualcosa di definitivo su un tratto così profondamento umano come é l'essere creativi. Come sosteneva il filofoso Austriaco Wittgenstein, che fu creativo in tanti campi, ma sempre in modo disordinato: <<Noi sentiamo che, anche una  volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati>> (proposizione 6.52 del Tractatus Logico-philosophicus). Ma concludeva anche: 

<<Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa é la risposta>>.

(Contributo On-line)

 

Nessun commento:

Posta un commento