sabato 24 settembre 2011

PSICOLOGIA E LINGUAGGIO




PSICOLOGIA E LINGUAGGIO


I) Il linguaggio viene indicato come attributo essenzialmente umano. Tutti gli animali comunicano (anche in modi per noi impossibili, come gli ultrasuoni), ma solo il linguaggio umano può riferirsi a eventi lontani nello spazio e nel tempo, può generare e comprendere espressioni che non erano state utilizzate in precedenza, può combinare nel suo vocabolario -in maniera sempre diversa- un numero di suoni distinti. Il sistema fonatorio dell'uomo (vedi ad es. la laringe) è unico. Naturalmente la comunicazione è possibile in quanto esiste una corrispondenza tra "segno" (parola, gesto...) e "oggetto" designato, determinata da una regola (codice), e vale sia per l'emittente che per il destinatario.
II) Linguaggio e parola. Nel caso dell'uomo la comunicazione linguistica è anzitutto verbale (il suono viene emesso e percepito: canale fonetico-acustico). Ma si utilizza anche il canale grafico-visivo. I ciechi però usano il metodo Braille (configurazione spaziale di punti letta col tatto), mentre i sordomuti usano il linguaggio mimico-gestuale (canale motorio-visivo). Un uomo adulto di cultura medio-superiore può usare anche più di 200.000 parole!
Nell'uomo vi è la possibilità di comunicare usando parole che valgono a designare categorie di grado sempre più elevato (mela>frutto>vegetale>naturale>ecologico>vivente). L'uomo cioè può servirsi di parole astratte, che non indicano un oggetto o sue proprietà, ma relazioni tra oggetti o fatti o funzioni logiche. Le parole sono collegate tra loro da regole di grammatica-sintassi. Naturalmente, perché una frase abbia senso, non basta che siano rispettate queste regole (vedi il diario di uno schizofrenico). Anzi, una frase può aver senso anche se non rispetta queste regole (come nei linguaggi cifrati o in codice).
In sintesi: a motivo della capacità simbolica (astrattiva) del linguaggio, l'uomo è in grado di padroneggiare una quantità enorme di informazioni con un dispendio minimo di energia, cioè con un rendimento molto elevato. Sono stati fatti molti tentativi per far parlare gli animali, ma sono tutti falliti. I migliori risultati sono stati ottenuti usando il linguaggio dei sordomuti (vedi lo scimpanzè Washoe, che aveva appreso 294 combinazioni di 2 o più segni; ad es. "io-uscire, tu-uscire", per indicare l'esigenza di fare una passeggiata con qualcuno).
III) Proprietà funzionali. Le funzioni più semplici del linguaggio sono quelle che ognuno può facilmente comprendere:
espressiva (come mezzo per segnalare stati d'animo o intenzioni dell'emittente);
evocativa (per influenzare il ricevente: ad es. il pianto del neonato);
rappresentativa (come mezzo di comunicazione del pensiero astratto, per informare su eventi lontani nel tempo e nello spazio);
intraindividuale (per pensare meglio, per controllare meglio il comportamento, per avere un libero scambio d'informazioni).
In sintesi: il linguaggio ha un prevalente valore di stimolo e di risposta. Ad es.: se faccio una telefonata per avere informazioni, il linguaggio ha proprietà di stimolo; se per inviare informazioni, ha proprietà di risposta (a un precedente stimolo). Il parlare è una risposta verbale a una stimolazione. Da notare che la quantità d'informazione veicolata da una frase non è uniformemente distribuita: ad es. in una frase di 7 parole, ogni parola non contiene 1/7 dell'informazione totale della frase, in quanto vi sono delle parole-chiave che ne contengono di più e altre di meno.
IV) La Psicolinguistica ha lavorato molto sulle funzioni che può avere il "significato" delle parole.
Significato estensivo: la capacità di comunicare è relativa alla comunità di appartenenza che ha prodotto quel linguaggio (ad es. gli esquimesi hanno circa 90 parole diverse per indicare altrettanti modi di essere della neve);
Significato intensivo: il livello di comprensibilità di questo significato dipende dal livello di consenso sociale circa il contenuto proprio di una parola. Parole come democrazia, libertà, essere, nulla... sono utilizzate con significati molto diversi tra loro. Ovviamente, in una società stabile, con una cultura dominante riconosciuta dalla stragrande maggioranza, il significato intensivo è unitario, condiviso.
Associazione verbale: il significato di una parola può essere stimato rilevando la sequenza di altre parole con cui essa è associata. Nei test di associazione verbale si è verificato che tali associazioni risultano in relazione con la classe sociale di appartenenza dei soggetti o con la professione svolta; che le associazioni dei componenti di una famiglia sono molto simili tra loro; che i figli fanno associazioni più simili a quelle della madre; che i maschi associano in modo più simile al padre rispetto alle femmine; che i bambini associano usando termini con cui potrebbero comporre una frase (ad es. martello -> chiodo).
Significato connotativo: una parola è carica di certe risonanze emotive e cognitive che sono relativamente indipendenti dal significato proprio, singolarmente considerato (ad es. la parola senza senso PALM potrebbe indicare un sapone da barba: significato denotativo; ma perché PALM sia venduto sul mercato, occorre che abbia anche un significato connotativo di morbido, profumato, schiumoso, economico, ecc.).
Significato contestuale: il significato di una parola varia a seconda del contesto logico in cui è inserita. Anzi, proprio per il fatto di appartenere a un contesto logico, le parole acquistano una significato più definito che non quando sono isolate (fenomeno della ridondanza. Ad es. La madre si preoccupa della salute dei suoi figli). Nelle comunità si usano messaggi ridondanti per ridurre la fatica di comprendere le informazioni o per comprendere anche le informazioni incomplete o disturbate.
V) Lo sviluppo del linguaggio. Nell'uomo l'emissione di suoni da parte del sistema fonatorio precede di molto l'organizzazione della fonazione in linguaggio articolato.
Il pianto della nascita è la prima manifestazione fonatoria: rappresenta lo stato di panico determinato dal repentino e totale cambiamento delle condizioni di vita del feto. In seguito, rappresenta un disagio interno (fame, sonno...), invocazione d'aiuto, reazione di protesta...;
dalla nascita a 6 mesi può emettere solo grida, borbottii o vari tipi di pianto. I suoni non sono ancora linguaggio, anche se i fonemi si stanno trasformando in sillabe. Dopo il primo mese può reagire col sorriso quando sente la voce materna. A 3 mesi distingue differenti intonazioni emotive della voce (ira, gioia...) e voci diverse.
Da 6 a 9 mesi emette un repertorio di suoni che comprende tutta la gamma posseduta dall'uomo. In questa fase tutti i bambini del mondo usano uno stesso linguaggio. Il neonato passa dalla semplice ripetizione di una sillaba (senza che vi sia la comprensione del significato) all'associazione fra la sillaba e ciò ch'essa significa.
Da 9 mesi a 1 anno la gamma dei suoni si restringe e viene delimitandosi alle intonazioni del proprio ambiente di vita. A 10 mesi comprende le prime parole. La comprensione della parola precede sempre la sua produzione (anche nell'adulto, per lo studio delle lingue).
Dall'età di 1 anno inizia la capacità di emettere una successione di suoni differenziati, per comporre una parola, che viene a riassumere il valore di una frase (ad es. "pappa" sta per "ho fame" o "non ho più fame"). La parola non è soggetta ad alcuna regola grammaticale.
All'età di 18 mesi può comporre due parole in una frase, anche se vi sono bambini che iniziano a parlare solo a 2-3 anni (poi recuperano facilmente il tempo perduto).
A 2 anni compone frasi sempre diverse, con un numero sempre maggiore di parole (circa 270, che diventano circa 1500 a 3 anni e circa 3500 a 6 anni). Inizia ad adottare regole grammaticali e sintattiche.
All'età di 4 anni ha un lessico ampio, appropriato e organizzato secondo delle regole. Non riesce ancora a comprendere le "eccezioni" della grammatica.
Dopo i 4 anni compaiono modi di esprimersi del tutto particolari (varianti stilistiche) legati all'ambiente di vita o del tutto personali.
VI) L'origine del linguaggio. La presenza di una naturale predisposizione al linguaggio (il corpo umano è geneticamente predisposto alla comunicazione verbale) è premessa necessaria ma non sufficiente a farlo maturare. La predisposizione dev'essere attivata entro un contesto di comunicazione umana e verbale, altrimenti non si manifesta (es: il caso di Victor, ritrovato per caso all'età di 12-13 anni in un bosco francese, che non imparò mai a parlare. Oppure, bambini allevati isolatamente da genitori ciechi che si comportano come se lo fossero). In definitiva, il linguaggio ha tre basi:
biologica (a livello anatomo-fisiologico),
intellettiva (che porta alla conoscenza),
ambientale (che offre un mondo linguistico già compiuto, tanto che, in questo senso, non siamo noi a parlare ma è il linguaggio che ci fa parlare secondo norme sue proprie).

LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE


Che cos’è la terapia cognitivo- comportamentale (TCC)?
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 da A.T. Beck ed oggi adottata nella pratica clinica dalla maggior parte degli psicoterapeuti. È una terapia strutturata (si articola secondo una struttura ben definita, benché non in maniera rigida, per assicurarne la massima efficacia), direttiva (il terapeuta istruisce il cliente ed assume attivamente il ruolo di “consigliere esperto”), di breve durata (cambiamenti significativi sono attesi entro i primi sei mesi) ed orientata al presente (è volta a risolvere i problemi attuali).
Essa è finalizzata a modificare i pensieri distorti, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi del cliente, producendo la riduzione e l’eliminazione del sintomo e apportando miglioramenti duraturi nel tempo.
La TCC è un terapia adatta al trattamento individuale, di coppia e in gruppo, e funziona a prescindere dal livello culturale, la condizione sociale e l’orientamento sessuale del paziente.
Qual è il modello teorico alla base della TCC?
In aggiunta ai riferimenti classici del comportamentismo, la TCC si basa sul modello cognitivo, che ipotizza che le emozioni e i comportamenti delle persone vengono influenzati dalla loro percezione degli eventi. Non è la situazione in sé a determinare direttamente ciò che le persone provano, ma è piuttosto il modo in cui esse interpretano certe esperienze. All’origine dei disturbi vi è, dunque, un modo distorto di pensare, che influenza in modo negativo l’umore e il comportamento del paziente. La TCC aiuta le persone ad identificare i loro pensieri angoscianti e a valutare quanto essi siano realistici. Mettendo in luce le interpretazioni errate e proponendone delle alternative - ossia, delle spiegazioni più plausibili degli eventi - si produce una diminuzione quasi immediata dei sintomi. Infatti, una valutazione realistica delle situazioni e la modificazione del modo di pensare producono un miglioramento dell’umore e del comportamento. Benefici duraturi si ottengono con la modificazione delle credenze disfunzionali sottostanti del paziente e attraverso l’addestramento dei clienti a queste abilità cognitive.
Le interazioni dei soggetti con il mondo e con le altre persone li portano a maturare alcuni convincimenti attraverso l’apprendimento - le loro credenze - che possono variare nella loro esattezza e funzionalità. Attraverso la TCC le credenze disfunzionali possono essere “disimparate” e possono essere apprese e sviluppate nuove credenze più realistiche e funzionali. In sintesi, la TCC agirà sui pensieri automatici (che sono il livello cognitivo più superficiale: i pensieri e le immagini distorte che attraversano in maniera rapida e incontrollata la mente di una persona di fronte a certe situazioni specifiche e ne condizionano negativamente l’umore), le credenze intermedie (opinioni, regole e assunzioni disfunzionali) e le credenze di base (che costituiscono il livello di credenza più profondo: sono globali, rigide e ipergeneralizzate). Nella figura seguente viene esemplificata l’interazione dei tre livelli cognitivi.
Che differenza c’è rispetto alle altre psicoterapie?
A differenza delle altre psicoterapie, la TCC si focalizza sul presente, è più breve ed è più orientata alla soluzione dei problemi attuali. I clienti apprendono alcune specifiche abilità che possono utilizzare per il resto della vita. Esse riguardano l’identificazione di modi distorti di pensare, la modificazione di convinzioni irrazionali e il cambiamento di comportamenti disadattivi. Inoltre, una differenza importante è che la TCC poggia su una base sperimentale e un metodo scientifico, e la sua efficacia nel trattamento di numerosi disturbi psicologici è stata convalidata empiricamente.
Si può fare un esempio?
Marco è un giovane impiegato, assunto da poco in una grande azienda. È molto scrupoloso, tanto da fare ogni sera tardi in ufficio per svolgere il suo lavoro in maniera perfetta. Finalmente la sua fidanzata lo convince a prendersi un giorno di vacanza e a passare il fine settimana fuori città. Il venerdì pomeriggio, mentre è in viaggio, riceve una chiamata dall’ufficio. Ci deve essere qualcosa che non va, devo aver fatto un errore, pensa Marco. A chiamare è un suo collega che sta cercando un file. Purtroppo la batteria del cellulare è quasi scarica e Marco non riesce a portare a termine la conversazione. Immediatamente comincia a sentirsi agitato. Dove posso aver messo il file? Perché non riescono a trovarlo? Sicuramente l’ho messo in una cartella sbagliata. E se per errore l’avessi cancellato? Sono troppo sbadato. Non sarò mai un buon impiegato. Marco comincia a preoccuparsi di quello che stanno dicendo di lui in ufficio. Penseranno che sono un impiegato impreciso, che di me non ci si può fidare. Il cuore comincia a battere sempre più velocemente, mentre continua inutilmente a cercare di telefonare. Poi comincia ad accusare la fidanzata di avergli fatto commettere un errore partendo. Probabilmente verrò licenziato o comunque non farò mai carriera, perché ho subito rivelato la mia incompetenza, ed è anche colpa tua che mi accusi sempre di lavorare troppo. Marco e la fidanzata litigano e il sabato tornano in città. Marco è sempre più agitato. Non ha il numero privato del suo collega e deve aspettare il lunedì per sapere quello che è successo. Passa la domenica immaginando i rimproveri del suo capo e pensando alla maniera migliore di scusarsi per il suo errore. La notte della domenica non riesce a dormire a causa della tensione. È il suo primo lavoro importante: non avrebbe dovuto commettere un errore così grave. Il lunedì va in ufficio, dopo aver dormito solo poche ore e scopre che il suo collega aveva trovato il file pochi minuti dopo la telefonata nella cartella dove avrebbe dovuto trovarsi. Aveva chiamato perché non si ricordava qual era la cartella giusta. Nessuno in ufficio era a conoscenza di quest’episodio. Marco è sollevato: nessuno si è accorto di niente. Tuttavia è piuttosto stressato e pensa comunque che la prossima volta dovrà essere più attento e ricontrollare tutto più volte.
In questo esempio sono evidenti i pensieri automatici che assalgono Marco e la sua credenza di base: “Sono inadeguato”. Questa credenza in lui profondamente radicata lo porta a provare emozioni negative, a vivere un profondo disagio, e ad attuare comportamenti disadattivi. Può anche compromettere le sue relazioni sociali e affettive. La TCC potrà aiutarlo a vedere le cose in maniera più realistica, a migliorare la sua autostima e a sviluppare uno stile affermativo di personalità.
Per quali disturbi è indicata la TCC?
Numerosi studi hanno dimostrato che la TCC è efficace nel trattamento di una vasta gamma di disturbi psicologici: la depressione, l’ansia, gli attacchi di panico, il disturbo ossessivo-compulsivo, le fobie, i disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità psicogena), le forme di stress post-traumatico, la dipendenza da alcol e droghe, le disfunzioni sessuali, i problemi di coppia e, combinata alla somministrazione appropriata di farmaci, i disturbi di personalità e la schizofrenia.
Quanto dura la TCC?
Alcuni clienti rimangono in terapia per un periodo molto breve, appena sei-otto sedute. In altri casi la terapia può durare alcuni mesi o anche più di un anno. Questo dipende dalla gravità del problema e dalla motivazione del cliente.
Come si sviluppa il processo terapeutico?
Le prime sedute vengono dedicate alla conoscenza dei problemi del cliente e alla costruzione della relazione terapeutica. La fase di anamnesi (assessment comportamentale e cognitivo) viene condotta utilizzando, oltre al colloquio clinico, test psicodiagnostici ed è volta alla valutazione dello stato emotivo del cliente, alla ricostruzione delle esperienze salienti della sua vita e alla chiara definizione dei suoi problemi attuali e dei suoi obiettivi. Quando il caso e la diagnosi clinica saranno abbastanza chiari, il terapeuta propone al cliente un contratto terapeutico. Egli riassumerà le sue valutazioni, prospetterà al cliente le sue ipotesi e formulerà delle interpretazioni degli eventi. Delineerà un progetto terapeutico, con strategie e obiettivi concreti, utili e raggiungibili, connessi con i problemi esplicitati dal cliente e coerenti con le sue aspettative. Successivamente il terapeuta spiegherà i principi teorici e le finalità della terapia, ed illustrerà brevemente le tecniche che verranno utilizzate, nonché i tempi, il costo e le probabilità di successo della terapia, per quanto ciò sia possibile. Poi si passerà all’intervento terapeutico vero e proprio, in un clima di fiducia e di orientamento positivo al cambiamento. Verso la fine della terapia, quando il cliente si sentirà meglio, le sedute potranno essere diradate nel tempo fino alla conclusione. Potranno poi seguire delle sedute di richiamo (follow-up) a tre, sei e dodici mesi dalla conclusione della terapia.
Come si svolgono le sedute terapeutiche?
Di solito le sedute si svolgono all’interno di uno studio con delle poltrone e un tavolino o una scrivania. Il terapeuta e il cliente sono seduti faccia a faccia, ma la loro posizione può eventualmente variare nel caso in cui vengano utilizzate determinate tecniche (rilassamento, role-playing, modeling, ecc.). Le sedute durano circa un’ora, e la loro frequenza è settimanale (più raramente, bisettimanale). Il clima è disteso, empatico e collaborativo. Oltre al colloquio, spesso si utilizzano in seduta alcuni materiali terapeutici, come test e questionari psicodiagnostici, diari giornalieri per la registrazione e il monitoraggio delle attività del cliente, schede per esercizi in studio e per i compiti a casa (homework). Dopo un rapido controllo dell’umore del paziente, si fissa un ordine del giorno, stabilendo gli argomenti di cui si tratterà nella seduta. In maniera collaborativa, i problemi verranno trattati facendo ricorso alle tecniche più appropriate. Poi si passerà all’assegnazione di alcuni compiti a casa, ovvero degli esercizi che il cliente svolgerà durante la settimana e che verranno discussi insieme nella seduta successiva.
Quali tecniche vengono utilizzate?
Gli interventi di TCC si basano sull’uso di numerose tecniche finalizzate a modificare comportamenti, emozioni e cognizioni non funzionali. Esse derivano dall’integrazione del modello cognitivo con l’orientamento comportamentista. Esse includono: il problem-solving, il decision-making, gli esperimenti comportamentali, il monitoraggio e la programmazione delle attività, la distrazione e la rifocalizzazione, le tecniche di rilassamento, i coping cards, l’esposizione graduale, il role-playing, e molte altre ancora.
Dovrò assumere dei farmaci?
L’uso appropriato di psicofarmaci non è escluso nella TCC, anzi per alcuni disturbi specifici la terapia risulta più efficace se associata all’assunzione di farmaci. Ciò dipenderà dalla natura e dalla gravità del disturbo accusato dal cliente. In alcuni casi, il terapeuta potrà ritenere utile un consulto psichiatrico, ed eventualmente potrà concordare con lo psichiatra la prescrizione di farmaci. In questo caso, l’assunzione e gli effetti dei farmaci verranno discussi nelle sedute terapeutiche.
Come capirò se la TCC sta funzionando?
La maggior parte dei clienti che si sottopongono ad un trattamento terapeutico sperimentano un miglioramento già entro le prime tre-quattro settimane dall’inizio della terapia, se frequentano le sedute con motivazione e se si impegnano giornalmente ad eseguire i compiti a casa tra una seduta e l’altra. I benefici della terapia potranno essere verificati attraverso la somministrazione periodica di alcuni test finalizzati a misurare lo stato emotivo del cliente.
Cosa posso leggere per saperne di più?
Un libro esauriente e di facile lettura è "Terapia cognitiva. Fondamenti e prospettive" di Judith S. Beck, edito in Italia da Mediserve (Napoli, 2002). Se non dovessi trovarlo in libreria, puoi richiederlo direttamente all’editore.
(contributo on-line)

mercoledì 14 settembre 2011

IL LINGUAGGIO DEL TEATRO








“La vera arte nascerà quando gli uomini impareranno ad amare la bellezza della verità”.  (Gandhi)







INDICE


1 – IL TEATRO COME ARTE

2 – LA SEMIOTICA TEATRALE

3 – IL SENSO DEL FARE TEATRO

4 – TEATRO E CREATIVITÀ

5 – VALORE FORMATIVO DEI LABORATORI TEATRALI A SCUOLA

6 – INTELLIGENZE MULTIPLE DI HOVARD GARDNER ED ESERCIZI TEATRALI

7 – LABORATORIO TEATRALE (CONTENUTI E SVOLGIMENTO)

8 – UN “INCONTRO TIPO” DI LABORATORIO TEATRALE

9 – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

10 - BIBLIOGRAFIA




1 - IL TEATRO COME ARTE

In cosa consiste l’arte denominata “Teatro”?

In due nozioni che fanno parte delle categorie fondamentali del pensiero umano:

lo spazio e il tempo.


Il teatro si concretizza in un luogo deputato alla sua attuazione e soltanto nel momento in cui almeno uno spettatore assiste all’azione di almeno un attore, ( la parola “attore” significa “colui che agisce”); questa caratteristica, che ci permette di riconoscere la differenza e l’autonomia del teatro rispetto alle altre arti, è generalmente indicata come: evento spettacolare.


Il luogo non è necessariamente l’edificio teatrale, ma qualunque spazio in cui convengono uno spettatore ed un attore per dar vita ad un evento teatrale.

A seconda della relazione spaziale che si viene ad instaurare tra luogo prescelto ed ambiente geografico possiamo distinguere: teatro di strada, teatro in piazza, teatro istituzionalizzato, e così via.

Grazie poi alla relazione spaziale che si instaura tra spettatore ed attore, possiamo distinguere: teatro su palcoscenico all’italiana (lo spettatore è di fronte all’attore e quest’ultimo è posto su di una pedana), teatro in pianta centrale (lo spettatore può disporsi intorno ad una pedana centrale sulla quale è l’attore), teatro d’appartamento quando l’evento teatrale si realizza in modo itinerante passando da una stanza all’altra, e così via.


Il tempo, per quanto riguarda l’evento teatrale, è semplicemente connesso all’inizio, alla durata ed alla fine dell’azione, dell’atto.

Nella irripetibilità e nella irriproducibilità dell’evento teatrale trova ragione d’essere l’arte teatrale.


Per evento spettacolare non si intende, quindi, una rappresentazione replicata per un certo numero di volte. Ogni evento è una ed una sola rappresentazione, poiché quel giorno, a quell’ora particolare, in quel luogo prestabilito, alcune persone e non altre, assistono ad una azione diversa da quella di tutte le altre volte passate e future – vuoi perché l’attore quella volta compie un gesto differente, vuoi perché, quella volta, uno spettatore applaude lì dove nessuno applaudiva o applaudirà, vuoi per tutta una serie di piccole, irripetibili motivazioni.

In sintesi, il teatro è l’arte del qui e adesso.


Se non bastasse questa argomentazione da sola a decretare l’autonomia dell’arte teatrale, ci sono stati anche drammaturghi che, negli anni della sperimentazione d’avanguardia più avanzata, hanno provveduto a ribadire in maniera singolare questa autonomia.



E’ il caso di Beckett e del suo “Atto senza parole”, in cui un attore, senza dire una sola parola, nel silenzio assoluto, compie un’azione, sviluppata attraverso una serie più o meno simmetrica di gesti, in una scena vuota in cui sono stati posti oggetti anonimi e comuni.

Ci si può spingere anche oltre, arrivando a soluzioni ben più estreme perché anche togliendo al teatro le scene, i costumi, le musiche, gli oggetti, le parole, si può avere un evento spettacolare.

Condizioni necessarie e sufficienti affinchè ciò avvenga sono che un attore, disponendo del suo solo corpo, ed uno spettatore, convengano in un luogo qualsiasi e siano disposti a dar vita ad un evento destinato a durare soltanto “qui” e soltanto “ora” ed in nessun altro luogo e mai più.


La comprensione profonda delle caratteristiche peculiari dell’arte teatrale in quanto evento spettacolare è premessa fondamentale ed insostituibile per quanti vogliano anche solo accostarsi al fenomeno teatrale, dal suo interno.

Senza una tale comprensione è vano ogni ulteriore tentativo di analisi del linguaggio teatrale.

Sarebbe lo stesso se si volesse conoscere la prosa e la poesia senza saper nè leggere nè scrivere. Prima di avere dimestichezza con un qualunque tipo di linguaggio bisogna conoscerne l’alfabeto.


2 - LA SEMIOTICA TEATRALE

Che il teatro abbia un suo linguaggio è palese, così come è ovvio che per “linguaggio” non intendiamo semplicemente una sequenza di parole, bensì un codice che si avvale di determinate regole, capace di divenire strumento espressivo. Ogni forma atta a comunicare si avvale di un suo linguaggio. Abbiamo pertanto il linguaggio musicale, quello pittorico, il linguaggio cinematografico, quello relativo alla danza, il linguaggio del corpo, e così via.

Quello che ci interessa, in questa sede, è l’analisi del linguaggio teatrale che può avvenire secondo diversi approcci.

I principali sono l’approccio filologico, quello strutturale e quello semiotico.



L’APPROCCIO FILOLOGICO si basa sull’analisi di tutti gli elementi che compongono lo spettacolo teatrale, considerandoli nella loro “storia” e nella storia della loro funzione dalle origini ad oggi. Per far questo, ci si avvale di notizie ed indicazioni provenienti da fonti diversissime quali l’archeologia, le cronache antiche e così via.


In questo modo, ad esempio, si viene a sapere che il teatro era originariamente una cavea naturale, poi divenne un’arena circolare e, via via, dai Greci fino ai Romani, al Medioevo, ecc. Un tempo il concetto di costume non era uguale al nostro: nell’Inghilterra del Cinquecento e del Seicento, Shakespeare recitava l’Antonio e Cleopatra non con costumi egizi e romani ma con abiti elisabettiani, ossia nei suoi vestiti di tutti i giorni, o quasi.


Tutto ciò implica uno studio del teatro alquanto distorto. E’ certamente utile conoscere tutte le storie riferite al mondo teatrale e, sicuramente, anche queste nozioni devono di diritto rientrare nel bagaglio culturale di chi fa teatro o di chi agisce per il teatro. Ma una simile conoscenza ci fa vivere il teatro solo come spettatori e, per di più, non come testimoni diretti ma come una sorta di spettatori di seconda o terza mano.


In questo modo noi non capiremo mai il teatro in sé, ma verremmo soltanto a conoscenza di dati parziali e insufficienti. Non abbiamo mai potuto partecipare a nessuno degli eventi descritti. Noi non sapremo mai cosa ha veramente voluto significare il partecipare, nella Grecia di circa duemila anni fa, alla rappresentazione dei drammi di Sofocle. Quello che ci resta sono soltanto i testi.


Per questo motivo è pressoché impossibile scrivere “una storia del teatro”, perché tutto ciò che ne possiamo ricavare è soltanto una serie di date e di titoli di testi scritti per il teatro, più qualche stralcio di cronaca.


Quindi, per quanto la Filologia sia una scienza estremamente seria e precisa, fondata su basi profondissime, di contro, proprio per il suo carattere, essa risulta applicabile quasi esclusivamente per la ricostruzione e l’analisi dei documenti antichi, pervenuti a noi attraverso i secoli.


L’APPROCCIO STRUTTURALE è più avanzato rispetto quello Filologico; quanto meno ci permette di entrare più nel vivo dei fenomeni studiati.

LO STRUTTURALISMO, infatti, studia le strutture dei sistemi linguistici e, una volta acquisito il fatto che il teatro è un linguaggio, diventa facile considerare l’evento teatrale come una struttura.

Per struttura cerchiamo di immaginarci un prisma, magari una piramide o anche una di quelle costruzioni in acciaio (i “castelli”), presenti in molte scuole per l’infanzia o in alcuni parco - giochi.

Ora, se quella è una struttura, noi riusciamo facilmente a scomporla nei suoi elementi costitutivi. Un simile approccio ci dà immediatamente una sensazione di maggior agio. Trasferiamo adesso l’immagine dei tanti elementi di acciaio (aste, tubi, ecc.), che formano la struttura del castello, all’evento teatrale. Se l’evento è la struttura, quali sono i suoi elementi costitutivi? A questo punto, elencarli è facile: la recitazione, la scenografia, la gestualità, la mimica, la voce, l’illuminazione, ecc.

L’approccio strutturale ci permette di studiare ogni elemento in se e poi di studiare le relazioni esistenti tra ciascun elemento e tutti gli altri elementi che compongono l’intero sistema. Immaginiamo, in questo caso, qualcosa che per noi è tutt’altro che fantascientifico: pensiamo ad una classe formata da venti bambini o ragazzi, che agiscono in un’aula variamente arredata, posta in un edificio scolastico che ha più sezioni o classi, e che agisce nell’ambito di una istituzione statale – tutto ciò, nel suo insieme, può essere definito come una struttura, ad essere precisi, si tratta di una macrostruttura.

Nell’analizzare un elemento di tale struttura, ad esempio la personalità di un solo ragazzo non possiamo fare a meno di metterlo in relazione con:

a) gli altri ragazzi

b) lo spazio nel quale agisce, come lo usa, come si muove, ecc

c) le altre classi

d) lo spazio dell’intero edificio, come lo usa, ecc,

e) l’istituzione stessa: determinati programmi, materie di studio, attività ludiche, attività didattiche, ecc

f) la società stessa, nel suo ambiente, nella sua collocazione geografica, topografica; ecc


Una simile analisi offre già dei buoni spunti e si apre a prospettive interessanti; pensiamo all’elemento voce del teatro. In che relazione è la voce con la psicologia di un personaggio? Quali gesti determinano un certo tipo di voce? Quale costume richiede? Quale trucco? Quale musica? In che rapporto è la voce con il costume, la musica, la scenografia, lo spazio scenico, il luogo teatrale? In che rapporto è rispetto ad altre voci e ad altri personaggi?

Che tipo di rapporto instaurerà con il pubblico?

Che tipo di reazione provocherà il suo personaggio nel pubblico?


L’APPROCCIO SEMIOTICO è ormai, da molti anni, il più accreditato. Non è affatto azzardato affermare che la semiotica offre una metodologia di indagine dell’intero scibile umano, di tutto ciò che riguarda l’essere umano.

La semiotica è la scienza generale dei segni.


Cosa è un segno? Un segno è la “rappresentazione concreta e convenzionale di un oggetto astratto” Ossia, un segno, sta per qualcos’altro.

Attenzione a non confonderlo con il simbolo.

Un segno rappresenta qualcosa di altro, di astratto. L’animo umano, l’intelletto, l’essenza dell’umanità, è astrazione. L’uomo, quindi, è segno di se stesso, è il primo segno, la prima manifestazione semiotica concreta.

Facciamo un esempio eclatante: Ghandi. L’uomo Ghandi non è stato altro che un segno che sta per, che rappresenta tutto ciò che è stata la sua personalità. Il suo significato religioso, sociale e politico, in una parola il suo essere – che è stata pura astrazione. Ogni persona è segno di ciò che essa è in astratto, ne è la rappresentazione concreta, visibile, tangibile.

Al di là di ogni disquisizione di carattere filosofico, torniamo al teatro. Diventa chiaramente leggibile perché la semiotica aderisce molto bene al teatro. L’evento teatrale, al di là delle sue caratteristiche del “qui e ora”, è composto di segni, ossia di rappresentazioni concrete e convenzionali di oggetti astratti.


L’evento teatrale, non è soltanto un struttura composta di elementi diversi posti (dal regista) in relazione funzionale interattiva, ma anche, e soprattutto, un universo semiotico nel cui sistema interagiscono dei segni, posti, (in base alle scelte del regista), in una delle tante relazioni possibili.


Immaginiamoci l’attore nudo, (tipico del teatro di Grotowski), su di una pedana di legno, posta in un parco, (un luogo non istituzionale), durante il giorno. Non ha scene, meno che mai un costume, non ha trucco, nè luci, non ha altro se non il suo corpo.


E’ in scena, di fronte al suo pubblico, attorniato dal pubblico. Rappresenta “Amleto, principe di danimarca”: la follia di Amleto, o il colloquio col fantasma di suo padre, oppure ilfamoso monologo (e già dandogli un testo gli abbiamo dato tantissimo!).


L’approccio filologico e quello strutturale sono insufficienti, in questo caso, per analizzare, capire ed apprezzare, in particolare, un simile evento teatrale.

Filologicamente possiamo rifarci a Shakespeare e a tutta la tradizione del teatro elisabettiano, ma questo non riguarda il nostro qui ed ora.

Strutturalmente parlando, abbiamo un sistema composto da pochi elementi: il corpo dell’attore, la sua voce, i suoi gesti, le parole del testo. C’è già qualcosa in più, d’accordo, ma solo qualcosa.

Ma se consideriamo i segni, ed il fatto che essi rappresentano qualcosa di altro, qualcosa che sta per, allora, l’analisi diventa ricca e profonda. La nudità è un segno: l’uomo che ancora non è re, non è ancora rivestito di un potere; la parola, ogni parola, diviene un segno: basta dire “Questa è la Danimarca” ed ecco che per convenzione la scena sta per il castello di Elsinore, ogni suo gesto è un segno, in un intreccio analitico sempre più profondo.


3 - IL “SENSO” DEL FARE TEATRO



Tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte:

quella di vivere

Bertolt Brecht

(Scritti teatrali)


Il teatro, e più in generale la cultura e l’arte, devono costituire “un canale di comunicazione” vivo e vitale, capace di fare da specchio ad una intera società e di rifletterla nella metafora dell’universo artistico.

Da questa consapevolezza deriva al teatro quella famosa funzione di “specchio” enunciata da Shakespeare nell’Amleto (III, 2): il fine dell’arte teatrale è sempre stato ed è quello di porgere, si direbbe, uno specchio alla natura che mostri alla virtù il suo vero aspetto, al vizio la sua precisa immagine; e d’ogni età e di interi cicli storici, impronta e forma.


Il teatro quindi come spazio della coscienza di sé, come spazio della comprensione, come spazio della condivisione.


Morteo, teorizza in “Ipotesi sulla nozione di teatro”, che,


mediante il linguaggio teatrale l’uomo:


- si sente vivere, (utilizzando tutte le proprie risorse), quindi si sente parte della realtà

- comunica con il prossimo, (sempre utilizzando tutte le proprie risorse), sino a coinvolgere il prossimo nella propria realtà, restando nel rapporto egli stesso modificato.


Lo schema operativo di questo linguaggio è il seguente:


1- presentazione di un altro IO: l’attore si esprime trasformandosi in un altro da se, utilizzando la forma elementare di “conoscenza” sia a livello magico che a livello logico

2- potenziamento del proprio IO, in quanto è proprio mediante l’uso dei propri mezzi intellettuali e corporei che l’attore si manifesta.


Questa contraddizione procura un doppio piacere: quello di uscire da se o quello di essere più completamente se stessi.


La pienezza del linguaggio teatrale è raggiunta quando i suoi codici: gesto, parola, movimento, ecc., vengono adoperati in modo creativo, cioè in forma non convenzionale, ma ritrovandone la forza e il significato elementari.



4 - TEATRO E CREATIVITÀ


“Noi vediamo che gli individui

vivono creativamente e trovano che la vita

vale pena di essere vissuta

o che non possono vivere in maniera creativa

e dubitano del valore del vivere.”

D.W. Winnicott



Siamo abituati a ritenere che ciò che chiamiamo creatività, o immaginazione creativa, rappresenti una condizione particolare, un attributo eccezionale e raro di alcune persone, piuttosto che una dimensione propria dell'equilibrio psico-fisico di ogni individuo.


Molte ricerche sullo sviluppo sostengono il contrario. Nell'ambito delle scienze psicologiche, una visione della crescita tutta centrata sull'acquisizione, l'apprendimento e l'integrazione del mondo-dato, ha ormai lasciato il posto a nuove prospettive che riconoscono al bambino la competenza di "costruttore" del mondo di cui è parte.


I processi evolutivi salienti, evidenziati dalle teorie costruttivistiche, si strutturano infatti su capacità di apprendimento associativo, per cui la percezione della realtà esterna avviene prioritariamente attraverso il filtro delle qualità sensoriali ed emotive piuttosto che sull'apprendimento dei contenuti.

L'atteggiamento spontaneo del piccolo è teso, fin dall'inizio, in un'azione creativa sul mondo esterno che lo impegna oltre il dato, in una complessa operazione di costruzione della propria esperienza. Tale azione progredisce col tempo, con la disponibilità di crescenti risorse, e si manifesta in modo palese nell'attività ludica.


E' infatti nel gioco spontaneo che diventa più evidente, oltre alla tendenza a esplorare e a manipolare gli elementi presenti nel campo, questa tensione a trascendere il dato, per produrre il nuovo e l'interessante, per aggiungere costantemente forma e novità all'ambiente. Attraverso il gioco, il piccolo si orienta nel mondo dei significati e del senso, con un'azione che è essenziale ai processi vitali del suo adattamento e che è fortemente caratterizzata dall'inventiva e da una ricerca di equilibrio interno.


Secondo Piaget il gioco è un aspetto dello sviluppo mentale, in connessione diretta, quindi, con gli stadi dello sviluppo dell'intelligenza.

Lo sviluppo mentale, per Piaget, è dovuto al continuo e attivo scambio tra i due processi di assimilazione e accomodamento.

Il gioco è pura assimilazione che altera le deformazioni in arrivo per adattarle all'esigenza dell'individuo.


Inoltre il bambino ha, come tutti noi, due procedimenti cognitivi mentali: la logica e la fantastica; percepisce già, (Jacques Lacan), la forma di ogni cosa, o meglio, percepisce la forma molto prima del significato delle cose. Ha già un sistema organizzato di autodifesa (vedi il blocco o il superamento dei traumi e la costruzione dei relativi meccanismi di difesa), ed ha quindi potere di scelta, più o meno inconscia, nell'ambito delle sue azioni.

Dal punta di vista tecnico, il bambino ha già acquisito il meccanismo fondamentale della tecnica teatrale: il far finta. "Fingere di", già vuol dire usare la tecnica dello "straniamento" ( Diderot - Artaud ).

Il bambino si "astrae", si "estranea", finge che una manciata di sabbia sia una fetta di torta e, mentre è consapevole della realtà (la sabbia), compie una operazione mentale di giudizio e pone la finzione al servizio della sua conoscenza sia logico-razionale che fantastica.

Precursore della capacità di creare è senza dubbio quell'area esperienziale che è stata definita dei "fenomeni transizionali". Ai bordi del corpo fisico e prima del mondo degli oggetti esterni, si anima un confine di contatto in cui il bambino sperimenta gradualmente la realtà in un'area percettiva in bilico tra il suo potere di sognare e la concretezza delle cose.


Negli studi di Guilford compaiono i termini "convergente" e "divergente", in riferimento ai tipi di produzione mentale.

Il pensiero convergente tende ad identificarsi con il pensiero logico- matematico, nel quale le situazioni portano ad un'unica risposta pertinente che consiste nell'adattare vecchie risposte a nuove situazioni in modo più o meno meccanico.

Il pensiero divergente entra in azione quando la situazione permette più vie di uscita e di sviluppo, producendo qualche cosa di nuovo e di diverso.

Si ritiene di basilare importanza che il pensiero divergente nasca da una buona padronanza del pensiero convergente.

Le soluzioni creative, secondo Guilford, insorgono quando la materia in questione è ben posseduta e avviene la riorganizzazione interiore dei dati esterni, in modo da ridurre la "sforzo cognitivo" del processo di informazione.

Il pensiero convergente e quello divergente interagiscono nel rendimento, dando la possibilità di trovare il nuovo ed il diverso, di uscire dagli schemi precostituiti e di inventare la realtà.

La creatività non dipende solamente dall'intelligenza, ma è legata alle caratteristiche individuali di tipo cognitivo e alle qualità della personalità.

Nella creatività la formazione di associazioni tra stimolo e risposta, sono caratterizzate dal fatto che le risposte non vengono connesse in modo normale.

I pensatori divergenti hanno l'abilità di collegare, in modo efficace, aspetti che normalmente nel loro ambiente non sono connessi. Inoltre la creatività non è solo un modo diverso di formare associazioni, bensì un modo diverso di ricevere, in quanto vi sono diversi modi di prendere possesso del mondo esterno e di manipolare le associazioni.

Il pensiero divergente dà origine ad un particolare stile cognitivo di tipo selettivo che provoca la capacità di cambiare molto velocemente le proprie strutture mentali e, contemporaneamente, causa la predisposizione al rischio. L'individuo creativo è disposto a commettere degli errori, ad azzardare soluzioni per problemi apparentemente insolubili.

I cognitivisti si sono occupati di identificare queste abilità e hanno osservato che nell'attività creativa sono sempre presenti alcune disposizioni del pensiero divergente, quali per esempio la fluidità, la flessibilità, l'originalità, l'elaborazione e la valutazione.

1. Fluidità è la capacità di produrre numerose idee, senza riferimento alla loro qualità o adeguatezza ai fini della risoluzione del problema. Tale capacità sta nella ricchezza e varietà del flusso di pensiero che viene suscitato da una situazione problematica.

2. Flessibilità è la capacità di cambiare strategia ideativa, cioè di passare da una successione o catena di idee ad un'altra.

3. Originalità è la capacità di trovare risposte insolite e uniche. L’originalità di una risposta varia a seconda del contesto culturale.

4. Elaborazione è la capacità di percorrere sino in fondo, con coerenza e ricchezza di particolari, fino a conseguenze estreme, la linea del pensiero intrapreso.

5. Valutazione è la capacità di selezionare, tra le varie idee prodotte, quelle più pertinenti agli scopi prefissati.

Queste capacità sono tipiche e qualificanti di ogni attività creativa e dipendono, a loro volta, dalla natura dei costrutti mentali degli individui, per esempio dall'ampiezza delle categorie.

Si può essere fluidi e si può passare agilmente da un contesto categoriale a un altro, se i nostri costrutti mentali sono sufficientemente ampi da includere nella stessa casella oggetti abbastanza diversi, mentre se le categorie sono molto ristrette è improbabile che riusciamo a essere mentalmente mobili.


Howard Gardner teorizza che vi sono abilità intellettive specifiche per diversi campi e che ogni individuo è sintonizzato, a seconda del tipo di intelligenza prevalente, su certe possibilità cognitive piuttosto che su altre.


Le possibilità cognitive principali sono:

1. Musicale è la capacità di produrre e riconoscere semplici canzoni; suonare queste melodie, variando tempo e ritmo.

2. Logico-matematica è la capacità di comprendere le proprietà di base dei numeri, aggiungendo o sottraendo; di capire i principi di causa ed effetto e la corrispondenza di lavoro univoco; la capacità di prevedere, ad esempio, quali oggetti galleggiano, affondano, ecc.

3. Interpersonale è la capacità di capire gli altri e di lavorare con successo con gli altri e di capire chi gioca, con chi, a scuola e perché.

4. Intra personale è la capacità di comprendere cose di se stesso, e di come uno sia simile o diverso dagli altri; di ricordare a se stesso di fare qualcosa; di sapere come consolarsi quando si è tristi.

5. Fisico-cinestetica è la capacità di usare il corpo e parte di esso (mani, piedi, ecc.) per risolvere dei problemi, come un gioco con una palla, il ballo o qualsiasi altra attività manuale.

6. Linguistica è la capacità di utilizzare il linguaggio per esprimere significato, comprendere gli altri, raccontare una storia semplice; reagire adeguatamente a storie con diversi stati d'animo; apprendere nuovi vocaboli o una seconda lingua usata con naturalezza.

7. Spaziale è la capacità di formarsi un'immagine mentale di luoghi grandi (una casa) e locali (un blocco di edifici); trovare la strada attorno ad un nuovo edificio.

8. Naturalistica è la capacità di riconoscere specie di piante e di animali nel proprio ambiente; per esempio imparare le caratteristiche di diversi uccelli.


"La mia teoria non deve essere intesa come atta a dare indicazioni su cosa insegnare. (Uno dei modi errati di interpretarla è quella in cui gli insegnanti dicono "Insegniamo intelligenza musicale oggi e intelligenza linguistica domani)".

"Affermando una diversa predisposizione verso specifiche abilità intellettive questa prospettiva tenderà a far dipendere la creatività dell'incontro dal tipo di intelligenza individuale prevalente e dalle condizioni esterne che ne facilitano l'uso.

La capacità creativa si manifesta quando l'individuo dotato di un certo tipo di intelligenza incontra condizioni culturali e sociali che gli permettono di sviluppare al massimo quella capacità, anziché inibirla o deviarla verso altri campi in cui essa è destinata all'insuccesso".


5 - VALORE FORMATIVO DEI LABORATORI TEATRALI A SCUOLA

Come si “tratta” la cultura a scuola?

Come è vissuta dai bambini, dagli studenti?

Quali sono i modi dell’insegnare?

Il contesto scuola propone situazioni, condizioni che fanno nascere il desiderio di sapere, l’emozione di conoscere?


E’ necessaria, direi urgente, una scuola che proponga il desiderio e “l’emozione di conoscere”, il piacere di esistere.


Quali i modi, le condizioni, le strategie, gli strumenti di cui necessita un insegnante per provocare il desiderio e il piacere di conoscere?

Quali i riferimenti teoretici e metodologici?

Quali i pregiudizi che molte volte, in buona fede, orientano la didattica facendo divenire l’apprendere un “disturbo” o una condizione di “noia”?


Questi gli interrogativi che ha posto Nicola Cuomo, (docente di pedagogia presso l’Università di Bologna), nel corso di un convegno su Teatro e handicap.


Ritengo sia necessario fare un accenno anche a questa realtà, e cioè alla presenza, nelle nostre scuole, di esperienze di integrazione di bambini o ragazzi definiti “handicappati”, “disturbati nell’apprendimento”, “deboli mentali”, “disabili”, “con disturbi dell’apprendimento”, ecc.


Questa realtà ha prodotto e sta producendo riflessioni e cambiamenti nei modi dell’insegnare, il desiderio e il piacere di insegnare e di apprendere, unitamente ad un’elevata qualità didattica per tutti i bambini, con o senza l’handicap.


L’organizzazione di un laboratorio teatrale ha bisogno di competenze per poter tenere conto della complessità del sistema, dei significati dei contesti, degli imprevisti, per organizzare intenzionalmente la comunicazione, i toni di voce, le pause, la postura del corpo, ecc.

Si deve avere sempre presente che si agisce in un contesto, in situazioni, in certe circostanze...., in sintesi in una situazione di complessità.

Questa complessità e la necessità di lavorare in un progetto ciascuno anche per l’altro, in un modo cooperativo ed integrato, è una condizione fondamentale nella scuola e diviene il contenuto da trasmettere agli studenti, un contenuto che non è storia, letteratura....., ma è qualcosa di più.


Tenere conto della complessità significa scoprire un universo fatto di piccole emozioni, che costituiscono la potenza della nostra vita, la potenza del teatro, riportare a scuola, attraverso il teatro, l’attenzione alla moltitudine delle piccole cose, ai particolari, significa portare a scuola un principio ecologico, animalista, il rispetto della vita di ogni essere vivente, la qualità.


Significa scoprire che lo sgabuzzino, il gabinetto, la cucina, l’insegnante d’appoggio, il personale non docente, solitamente esclusi dal processo creativo, lo integrano e lo potenziano , se noi ci poniamo in questa ottica e lavoriamo perché ciò avvenga.


Significa scoprire che l’organizzazione degli spazi, la posizione dei banchi, le parole, i toni di voce, la divisione del tempo, gli oggetti, le persone, la loro postura, al di là del significato convenzionale, oltre ad incidere nel rapporto sul piano funzionale, hanno una implicazione e una valenza affettiva, tali da favorire o sfavorire un rapporto, scoprire che la quotidianità, i vari momenti particolari, possono essere di supporto emozionale, affettivo e di sostegno alla relazione e all’intervento educativo.


Si scopre che i modi per conoscere possono andare al di là degli itinerari convenzionali, che il vedere delle immagini può richiamare alla memoria situazioni, odori, suoni, paure, e che sentire degli odori può richiamare alla memoria una storia, un vissuto fatto di immagini, di parole, di suoni.

Si scopre che gli itinerari della conoscenza non sono soltanto dei percorsi graduali, risultato di un addizione di percezioni sensoriali e di eventi, non sono una somma di contenuti messi bene in fila, ma dei percorsi complessi ed articolati che costituiscono un vissuto caratterizzato da fantasmi, situazioni, emozioni, in un molteplicità di minuscole e grandi situazioni affettive, che offrono un campo di analisi assai vasto, dove è possibile ritrovare le opportunità, le strategie per orientare e articolare gli interventi educativi e didattici.


La capacità di osservare, scoprire e di includere nelle riflessioni, nelle ipotesi di lavoro, questo universo non visto deve poter divenire sempre di più, uno spazio di analisi e di riflessione negli incontri tra gli insegnanti e gli operatori del campo teatrale.


Inoltre, a volte, la lunghezza dei tempi di “risposta”, oltre che il saper osservare, implica il saper attendere le risposte che l’abitudine quotidiana ci fornisce in un rapido giro di tempo, attenderle per settimane, mesi, ed in questi lunghi tempi di attesa, che sono giustificabili solo se vi è uno spessore culturale di alta qualità, non lasciarsi sopraffare dalla paura, dall’angoscia, dal senso di non “aver fatto”, di avere sbagliato l’intervento o di ripiegare nell’alibi dell’ “è impossibile”, rifiutando l’esperienza.


Inserire nel percorso formativo degli insegnanti l’attività di teatro e far riflettere su di essa significa determinare una condizione che permanentemente destruttura percorsi formativi rigidi e dogmatici, unilaterali, riduzionistiche interpretazioni della complessità dell’esperienza, della relazione, della comunicazione...


Inserire nel curriculum dell’educatore i vissuti, le esperienze operative e riflessive che fornisce l’attività teatrale significa fornire ulteriori opportunità al professionista dell’educazione per riflettere su come affrontare i problemi esaminando ed interpretando la situazione e gli eventi da diversi punti di vista.


Spesso colui che pensa, nel tentativo di risolvere un problema assegnato, si ferma, rendendosi conto che la situazione richiede cose del tutto diverse, richiede che venga mutata la meta stessa. Il restare attaccati a mete stabilite, il voler insistere per raggiungerle è spesso pura e semplice mancanza di pensiero” (M. Wertheimer)



Forse l’avventura, l’imprevisto, i sogni, i miti, le utopie propongono il fascino, il desiderio e forse l’uomo.

L’uomo con la sua capacità di oltrepassare la realtà, di fare scelte soggettive e arbitrarie, di articolare proiezioni che vanno al di là delle ragioni dell’esperienza, scopre possibilità di conoscenza e di sapere che la razionalità, l’oggettività della prigione nei paradigmi delle scienze “esatte”, non avrebbe mai scoperto.


L’immaginazione propone degli universi che vanno al di là della vita quotidiana, punti di vista non necessariamente consequenziali fornendo alternative, altre modalità di vedere, sentire, toccare, percepire, immaginare...


Il teatro ci insegna l’importanza dei particolari nel contesto, nella realizzazione, nei movimenti, nei toni di voce, nei tempi, nell’organizzazione degli spazi,.......


Una complessità che può confondere, se non la si sa utilizzare per la ricchezza dei dati che ci mette a disposizione, se non si è capaci di determinare un permanente “gioco” di primo piano e sfondo in cui gestire selettivamente una grande quantità di informazioni, di impressioni, di intuizioni, di ipotesi, di esperienze altre, senza perdere di vista il contesto.


Inoltre occorre tenere presente che le esperienze in ambito educativo sono irripetibili, dove irripetibilità significa che non possono essere replicate tali e quali, proprio come le repliche teatrali degli attori professionisti.


L’irripetibilità non contrasta con la necessità di comunicare e di riflettere sulla esperienza avvenuta, ma sottolinea che una data esperienza non può essere ripetuta per tutti “tale e quale”.

Relazione tra creatività-finzione-realtà

Questa breve introduzione scritta per il nostro seminario / laboratorio teatrale ha, da un lato, la pretesa di offrire un approccio, anche se scarno e disadorno, al fenomeno teatrale, - un modo di preparare il terreno alla semina. D’altro canto, c’è la speranza che le parole scritte adesso, servano a sfoltire ed a ridurre i discorsi teorici da affrontare nel corso, a favore di una pratica realizzazione dell’esperienza spettacolare.

Se, da una parte, io sono chiamata a fornire ai partecipanti del seminario una serie di nozioni che fanno parte del bagaglio culturale che ho finora acquisito; d’altra parte, io sono anche chiamata a scambiare, a condividere, la mia esperienza.

Non solo, ma devo anche provvedere a tracciare le interazioni possibili tra questa mia esperienza e la didattica attuabile nella scuola.

Partiamo da una considerazione necessaria. Esiste una enorme differenza tra metodologia e tecnica.

Se noi consideriamo un qualsiasi fenomeno, distinguiamo tra la tecnica, che riguarda tutto ciò che occorre per la costruzione del fenomeno e la metodologia, che si occupa, invece, dell’analisi, del complesso dei principi di metodo sui quali il fenomeno si fonda, e quindi della decostruzione del fenomeno. Mentre la tecnica è puramente pragmatica, la metodologia è anche un’astrazione.

Trasmettere una tecnica è cosa relativamente semplice. Ma acquisire una metodologia e trasmetterla, è cosa assai più complessa. Ad ogni modo, possiamo almeno tentare di semplificare le cose. La via più immediata per accostarsi ad una metodologia è quella di sperimentarla nella pratica, sulla propria pelle.


Questo metodo non è una combinazione di tecniche prese in prestito da varie fonti in maniera meccanica, ma il risultato di diversi studi e stage, in cui è stato sperimentato e poi proposto agli allievi di diverse età, nel corso di numerosi laboratori, sotto forma di gioco creativo, espressivo ed inventivo.


6 - INTELLIGENZE MULTIPLE DI HOWARD GARDNER ED ESERCIZI TEATRALI

CAMPO PSICOMOTORIO

INTELLIGENZA C0RPOREO CINETICA


· acquisizione del sé

· dominanza del corpo vissuto

· discriminazione percettiva del proprio corpo

· messa a punto psico-fisica e risveglio del corpo

· rappresentazione del corpo in movimento

· sviluppo delle abilità motorie

· espressione e comunicazione corporea in rapporto con gli altri

· rappresentazione mimica: gesti quotidiani, atteggiamenti, espressioni del viso, gesti simbolici

· frasi gestuali: composizione fra gesti, espressioni mimiche, movimento del corpo



CAMPO ESPRESSIVO


INTELLIGENZA LINGUISTICA


· respirazione e immaginazione vocale

· produrre e memorizzare il linguaggio verbale a livello creativo

· esprimere e comunicare sentimenti ed emozioni con il linguaggio verbale

· utilizzare il linguaggio verbale adeguatamente alle situazioni

· riprodurre il linguaggio verbale attraverso l'immaginazione e l'interazione di linguaggi

· non verbali

· espressione verbale creativa con linguaggio inventato ( grammelot)

· espressione verbale creativa di semplici parole in lingua straniera abbinate a parole in lingua madre

· espressione verbale di semplici frasi in lingua straniera

· espressione verbale creativa in lingua straniera


CAMPO COGNITIVO


INTELLIGENZA LOGICO-MATEMATICA


· comprendere i segni simbolici convenzionali che danno un ordine e un'informazione

· percezione e orientamento nello spazio

· percezione e orientamento nel tempo

· capire i principi di causa ed effetto

· energia del movimento

· ideazione, progettazione e allestimento dello spazio scenografico



INTELLIGENZA SPAZIALE


· capacità di ragionare ed argomentare (attraverso giochi di verbalizzazione e improvvisazioni su personaggi)

· costruttività

· esplorare, scoprire e capire, riconoscere i problemi e risolverli, modificare le proprie opinioni (attraverso improvvisazioni di situazioni, gioco-esercizi con i compagni, costruzione e/o ricerca di oggetti, costumi, scenografie)



CAMPO ESPRESSIVO


INTELLIGENZA MUSICALE


· acquisire padronanza dei vari mezzi e delle varie tecniche espressive

· sviluppo della creatività produttiva

· sviluppo della percezione uditiva

· sviluppo della capacità di ascolto e di concentrazione

· capacità di produrre e riprodurre il linguaggio musicale (suoni e rumori)

· sviluppo del senso ritmico e capacità di leggere e riprodurre semplici strutture ritmiche

· capacità di riconoscere "segni" musicali e di eseguire ritmi musicali usando il proprio corpo

· sviluppo delle capacità di interpretazione del linguaggio musicale

· sviluppo della creatività musicale

· sviluppo della capacità di interazione tra attività musicale e attività psico - motoria

· sviluppo della capacità di interazione tra attività musicale e attività mimico-gestuale

· sviluppo del linguaggio iconico

· sviluppo del linguaggio plastico

· immaginazione vocale

· musica di vario genere: pop - classica - rock - tibetana - balinese - jazz - ecc.

· da usare nel corso degli esercizi gioco per:

· sottolineare atmosfere

· far emergere sensazioni e stati d'animo

· favorire il rilassamento

· enfatizzare una situazione

· accompagnare un'improvvisazione

· stimolare un ritmo

· danzare


CAMPO SOCIALE – CAMPO EMOTIVO – CAMPO AFFETTIVO


INTELLIGENZA PERSONALE


· formazione del gruppo

· sviluppo della fiducia

· rispetto e accettazione e valorizzazione della diversità

· capacità di riconoscere ed esprimere valori e sentimenti

· canalizzare l'aggressività verso obiettivi costruttivi

· rafforzare la fiducia, la simpatia, la disponibilità alla collaborazione

· conoscenza del passato con eventi riferibili al bambino/ ragazzo

· superamento del proprio punto di vista, accettazione di quello degli altri

· valorizzazione della multiculturalità

· valorizzazione della multietnicità

· accettazione e valorizzazione della disabilità

· giochi esercizi collettivi

· rotolarsi

· riconoscere col tatto il viso di altri bambini

· camminare per mano ad un altro bambino tenendo gli occhi chiusi

· tuffarsi sugli altri bambini


7. LABORATORIO TEATRALE (CONTENUTI E SVOLGIMENTO)

“Un "attore" può essere guidato

e ispirato soltanto da qualcuno

che sia impegnato con tutta

l'anima nella sua attività creativa.

Il "regista" mentre guida e ispira

l'attore deve al tempo stesso lasciarsi

guidare e ispirare da quest'ultimo.”

Jerzy Grotowski - "Per un teatro povero"


CONTENUTI - SVOLGIMENTO

Il laboratorio di introduzione al linguaggio teatrale è costituito da 3 fasi, che corrispondono alle tre forme di rappresentazione definite da Bruner:

· attiva

· iconica

· simbolica


Tali fasi inizialmente viaggeranno separate per poi incontrarsi e fondersi nelle "azioni" teatrali.


FASE LABORATORIO 1

FASE LABORATORIO 2

FASE LABORATORIO 3


FASE LABORATORIO 1

fase dell'esperienza attiva


Si partirà da alcune attività di educazione psicomotoria, hata yoga ed esercizi teatrali, rivolti all'acquisizione delle tecniche espressive di base, al rilassamento, all’educazione e all’improvvisazione vocale.


· Grotowski : “Per un teatro povero”

· Stanislavshij : "Il lavoro dell'attore"

· Peter Brook : "Il punto in movimento" – “Lo spazio vuoto”

· Delsarte : “Sulle reazioni introverse ed estroverse”

· Dullin : “Esercizi ritmici”

· Mejerchol’d : “Allenamento biomeccanico”

· Living Theater

· Rudolf Steiner: “regia e arte drammatica”


Tutto deve sempre essere adattato all'età dei partecipanti.

Questo percorso risponde alle basilari esigenze operative e di metodo per l'avviamento di bambini / ragazzi / adulti all'esperienza teatrale.


Tali esercizi mirano essenzialmente al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

· Acquisizione del sé

· Messa a punto psico/fisica e risveglio del corpo

· Formazione del gruppo e sviluppo della fiducia

· Plastica corporea e linguaggio gestuale.

· Energia del movimento

· Respirazione e immaginazione vocale



FASE LABORATORIO 2

fase dell’esperienza iconica


In un secondo momento, gli allievi procederanno alla creazione di azioni - improvvisazioni in modo tale da produrre un primo materiale di base che servirà alla costruzione dei personaggi e delle situazioni chiave dell’azione teatrale conclusiva, della messa in scena.

Il materiale elaborato sarà poi sviluppato ed assemblato in modo da creare una griglia narrativa su cui fissare lo spazio scenico, le scene, i personaggi, i gesti, le situazioni, i costumi, la musica, per approdare all'azione teatrale finale.


FASE LABORATORIO 3

fase dell’esperienza simbolica


In questa momento del laboratorio, gli allievi rappresenteranno graficamente e pittoricamente l’esperienza vissuta nel laboratorio, per poi arrivare alla costruzione di scenografie, oggetti, costumi, ecc.



Ogni partecipante è invitato a vivere gli esercizi usando la sua immaginazione e le sue associazioni personali

Per aiutarli, attraverso questo processo di liberazione creativa e fantastica, è importante proporre gli esercizi sotto forma di gioco fantastico.

Nel primo periodo, e all’inizio di ogni esercizio o situazione, nel momento in cui gli allievi si sono accettati come gruppo, si sono sciolti e lasciati andare, nel momento in cui le loro difese e timidezze si sono ammorbidite e sono "pronti", è bene che vengano invitati a dare personalmente un loro senso e motivazione agli esercizi.


La maggioranza degli esercizi-gioco deve essere accompagnata da una musica o canzone adatta all'esercizio in questione, la musica ha un'importanza determinante se in armonia con il tipo di lavoro che si propone.

Deve essere, di volta in volta, "cercata" e "scelta", sia in base al tipo di situazioni proposte, al carattere dei personaggi, al tipo di favola scelto, ecc.; sia in quanto evocativa o suggestiva o stimolante nei momenti di training e durante gli esercizi - gioco.


E' importante che vengano usati tutti i generi musicali: jazz, rock, tibetana, araba, classica, pop, così come è importante che siano gli allievi stessi a "fare musica", con il corpo, con la voce, con oggetti e strumenti musicali veri e propri.


La voce deve usata come strumento espressivo e non solamente come espressione di codici parlati.


Al termine di ogni esercizio è necessario dare un rinforzo positivo, es. "Ecco bravi, così."

Deve sempre essere rivolto a tutti i partecipanti, inoltre deve essere dato anche personalmente, chiamandoli per nome, per infondere loro fiducia.

NON si debbono mai dare giudizi negativi di nessun tipo.

Se ci sono movimenti scorretti ci si avvicina al ragazzo in questione e lo si corregge, non a parole, ma facendo l'esercizio vicino a lui.


E' necessario che tutti gli esercizi e i giochi vengano eseguiti indossando indumenti comodissimi e leggeri, pantaloni da tuta e maglietta, perché niente deve impedire i movimenti.


Soprattutto niente scarpe, né calze di nessun genere, perché impediscono al piede di VIVERE e di MUOVERSI. I piedi devono stare a contatto con il pavimento. E' questo contatto che li deve far vivere.


Tutto il corpo deve adattarsi ad ogni movimento, per quanto piccolo sia. Nessun esercizio stereotipato può essere imposto.


"Se raccogliamo da terra un pezzo di ghiaccio, tutto il corpo deve reagire a questo movimento e alla sensazione di freddo. Non soltanto la punta delle dita, non soltanto l'intera mano, ma tutto il corpo deve mostrare il freddo proveniente da questo piccolo pezzo di ghiaccio".

Grotowski



Dopo alcuni incontri è opportuno leggere ai bambini la favola prescelta o in caso di ragazzi e adulti chiedere loro che la leggano, invitarli a disegnare ciò che della favola li ha maggiormente affascinati.


Dopo aver fatto giochi di drammatizzazione, prima in gruppo, poi a coppie e infine singolarmente su situazioni varie, gli allievi decidono il personaggio che intendono essere, il quale può essere presente nella favola prescelta oppure può essere inventato liberamente; se diversi allievi decidono di voler essere lo stesso personaggio va benissimo.


A questo punto, nel corso delle sedute, gli esercizi - gioco proposti conterranno elementi che serviranno alla realizzazione dell'azione teatrale finale: (ad esempio, se la favola parla di fantasmi, il volo iniziale potrà essere fatto dai fantasmi, ecc.).


Le situazioni proposte avranno come elementi situazioni della favola, le drammatizzazioni con i personaggi saranno i personaggi che gli allievi hanno scelto di essere.

Inoltre i ragazzi avranno a disposizione alcuni costumi ed oggetti che sceglieranno per il proprio personaggio.


Quando una situazione e una drammatizzazione "funziona", quando si vede e si “sente” che gli attori si sono appropriati del loro personaggio, (che è stato costruito anche da una biografia ben precisa, da un tic, da un certo modo di parlare, ecc,), quando si sono “calati” nella parte, è necessario proporre di ripetere l’improvvisazione, fornendo ulteriori spunti per improvvisare (ad esempio, un oggetto nuovo, una musica, una canzone, una situazione), di modo che l'improvvisazione si arricchisca maggiormente e costituisca un pezzetto che si aggiungerà via via ad altri frammenti, fino a diventare, alla fine, il canovaccio dello spettacolo e la griglia narrativa.


Contemporaneamente i partecipanti lavoreranno anche alla scenografia che insieme all'animatrice avranno deciso di usare, sempre se è stato deciso che serviva una scenografia, a volte vengono, ad esempio, usati solo oggetti.

In ogni caso qualsiasi elemento deve essere un tutt'uno con le improvvisazioni, perché solo in questo modo l’azione teatrale conclusiva non sarà una serie di elementi che si sommano ma un composto unico.


E' importante tenere sempre presente che gli incontri non seguono un'evoluzione costante, ma variano a seconda dello stato d'animo di "quel giorno lì", che è molto diverso da "quel giorno là" . Per fare un esempio semplice, spesso, durante le prove finali, una scena che non funzionava nel modo più assoluto, improvvisamente rende, ha un suo ritmo, una sua "verità", esprime in un attimo il senso dello spettacolo.

Oppure un bambino che si rifiutava di "giocarsi" un personaggio, inaspettatamente ne inventa e ne interpreta uno "vero", non sta più "recitando" un altro da sé, un re o un cantante o un mago, ma è "quel" mago, e non uno stereotipo, una macchietta, non scimmiotta qualcuno ma è qualcuno, con un proprio nome, una propria storia, un proprio modo di camminare, correre, parlare, raccontare barzellette, mangiare e dormire.

Occorreranno poi ulteriori prove per far sì che ciò che è scaturito improvvisamente e inaspettatamente dal suo inconscio venga sedimentato e approfondito.

A determinare la variabilità degli incontri influisce inoltre il tipo di bambini- ragazzi – persone, costituenti il gruppo: interessati, apatici, distratti, ecc.

Dipende da stimoli od interferenze esterne, sia in positivo che in negativo. Esempio: si prova e fuori nevica. L'atmosfera stimolerà un certo tipo di immaginario, sicuramente positivo, evocativo, ecc. Si prova e c'è gente che passa, oppure alle prove assiste una persona nuova, magari conosciuta, ma che non fa parte, normalmente, del gruppo, i bambini saranno immediatamente agitati, tesi e deconcentrati.

Qualsiasi tipo di attività che coinvolge la parte più nascosta e sconosciuta di noi richiede atmosfera, fiducia, accettazione, e una specie di segreto che solamente con i nostri "compagni di viaggio" possiamo e vogliamo condividere.


Se permettiamo al ragazzo la libertà di esprimersi in modo diverso, ciò che improvviserà verbalmente sarà un tutt’uno con ciò che è il suo personaggio, con le sensazioni che gli hanno procurato la lettura del racconto iniziale, le immagini che questo racconto hanno evocato, i suoi sogni e le sue fantasie, per cui, sarà egli stesso che farà scaturire la parte verbale e, nel corso delle prove, la sua memoria fisica e sensoriale gli indicherà “quale era la parola o la frase” in quel contesto.


Quando il lavoro teatrale è frutto di improvvisazione, di esercizi – gioco collettivi, di atmosfere sottolineate dalla musica, di evocazioni e ricordi personali e quando il “copione” spettacolare viene costruito direttamente sulla scena, allora veramente il problema della memoria non esiste: i bambini, i ragazzi, ecc. non hanno difficoltà alcuna a ricordare le battute e i gesti nati spontaneamente da emozioni proprie, (certo in alcuni casi occorre incanalare e aiutare e sfrondare ciò che viene da loro proposto, ma sempre per aiutarli a sintetizzare e a trovare il ritmo giusto).


Da evitare come il “veleno”il virtuosismo mnemonico cui capita spesso di assistere nelle così dette recite scolastiche, che è un tutt’uno con l’impaccio che si può notare dei loro corpi , dei gesti, ecc.


Inoltre non chiedetevi mai quanto deve durare una messa in scena, è questione di ritmo e non di tempo, può accadere che siano sufficienti 15 minuti per avere il ritmo e la durata giusta. L’azione teatrale deve avere il “respiro” del percorso compiuto, non durare più del necessario, ma esprimere quanto il gruppo ha maturato e creato.


Tutto il laboratorio deve essere basato sullo "studio" della gioia, del riso e dei sentimenti in genere, poiché se l'approccio all'esperienza teatrale viene fatto divertendosi, giocando ed inventando, è possibile arrivare ad un risultato finale ricco e liberatorio.


"Vi è un'età in cui si insegna ciò che si sa, ma poi ne viene un'altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama 'cercare'.

Ora è forse l'età di un'altra esperienza: quella di disimparare, di lasciare lavorare l'imprevedibile rimaneggiamento che l'oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato"

( Roland Barthes, in "lezione"; 1978)


8. UN INCONTRO “TIPO” DI LABORATORIO TEATRALE

Musica del "volo"


(Inizio sempre le sedute con questa corsa, per scaricare immediatamente le tensioni e entrare nell'atmosfera dell'ora e mezza di laboratorio che seguirà)


"Voliamo, siamo degli uccelli, dei gabbiani, dei bellissimi gabbiani e gabbiane bianchi, le nostre braccia sono leggerissime, perché sono diventate delle ali, veloci, che si alzano e si abbassano e impongono movimento al corpo, alle gambe, le nostre gambe corrono ma l'impulso alla corsa viene dalle nostre spalle. Ecco, sentiamo sempre più le nostre braccia diventare ali, ora sono distese, stiamo volando sul mare, c'è il sole, ed un bellissimo cielo azzurro, noi non facciamo nessuna fatica a volare. Siamo felici, sentiamo l'aria sul viso, l'aria salmastra del mare, allunghiamo il collo, senza fatica, ascoltiamo anche la musica, seguiamone il ritmo mentre voliamo, ecco, così, sentite come è veloce ora, voliamo sempre più veloci, incontriamo altri gabbiani e siamo contenti di incontrarli, ma non andiamo a sbattere contro nessuno di loro. I gabbiani, se li osservate quando volano, anche se sono in tanti, non si fermano mai e neppure si scontrano, avete mai sentito annunciare al telegiornale: "Scontro tra gabbiani, due morti e 5 feriti".

Bene. Ora siamo stanchi e teniamo le nostre braccia-ali distese ma ferme, ci lasciamo ondeggiare dal vento e dalla musica che sta entrando nelle nostre orecchie.

Ora invece andiamo di fretta e voliamo velocissimi, sempre più veloci, piroettiamo su noi stessi, come se una tromba d'aria ci facesse ruotare, veloci sempre più veloci. Stiamo per precipitare, aiuto, aiuto, cadiamo..., no invece no, la musica ha ripreso dolcemente, ci rialziamo, e rivoliamo, di nuovo velocissimi, sempre di più, sempre di più, ecco, adesso atterriamo sul mare, giù, buttatevi a terra come se invece del pavimento ci fosse il mare, leggeri, non come dei sacchi di patate, leggeri, leggeri."

I ragazzi si gettano a terra e io con loro, naturalmente.

(Lo stesso esercizio lo faccio pensando anzichè ai gabbiani a dei palloncini, o a degli aerei, o a delle farfalle, oppure a dei fantasmi.)


Li invito a stare un attimo distesi:

"Siamo su una spiaggia, c'è il sole caldo, lo avvertiamo prima sul piede destro, che si stende, si vuole abbronzare, allarga le dita per sentire l'aria passare".

Di seguito nomino tutte le parti del corpo, sempre giocando con delle immagini.

Quando ho finito li invito a rialzarsi, con calma, girandosi su di un fianco.


"Adesso è mattino e ci laviamo, sfreghiamo ed insaponiamo prima il viso, poi il collo , bene le orecchie, poi i i capelli, ci insaponiamo i capelli, poi le braccia, le gambe, i piedi, le mani, il sedere, la pancia, con molta energia, ora ci sciacquiamo, bene così, ora ci asciughiamo, sfreghiamoci bene.

Ecco, ora buttiamo via una gamba, lanciamola, non ci serve più, ora l'altra, ora il braccio destro, ora l'altro, adesso buttiamo via la testa, bene, in tutte le direzioni.

Ora stiriamo le braccia e le mani di lato, tesi, come se fossimo degli alberi altissimi, con i rami tocchiamo le nuvole, bene, ora improvvisamente pieghiamoci fino a sfiorare con le mani il pavimento, intanto espiriamo, bene, con la bocca aperta".


"Adesso siamo diventati delle palline da ping- pong leggere, siamo in posizione arrotolata, prima facciamo brevi salti in avanti, riportandoci sempre in posizione arrotolata di partenza, con le mani vicino ai piedi."


"Come un gatto che si sta svegliando ci stiriamo tutti, allunghiamo bene le braccia e le gambe, inarchiamo la colonna vertebrale, tendiamo il collo, lo scuotiamo, iniziamo a camminare con molta flessuosità, con molta eleganza, ecc".

Questo gioco serve per distendere la muscolatura di tutto il corpo.


Adesso siamo dei canguri, (saltellando, a grandi balzi, mentre ci si solleva in posizione quasi eretta con le gambe, mentre saltano, distese dietro).


"Siamo dei galli e delle galline, camminiamo con le ginocchia piegate, le mani sui fianchi ed il collo teso che ogni tanto si muove bruscamente, con piccoli scatti, mentre camminiamo le braccia si muovono, sono le ali delle galline. Aggiungiamo il verso che fanno i galli e le galline, parliamoci attraverso il loro linguaggio, prima tutti insieme, poi a coppie".

Lo stesso esercizio viene proposto come se fossimo delle rane, delle tigri, dei pesci, degli orsi, ecc. ; per ogni animale do indicazioni su come io vedo questo animale e su come io divento questo animale, ma invito anche i bambini a sentirsi quell'animale a modo loro. Ogni bambino, via via che passano le sedute, personalizza sempre più a modo suo ciò che rappresenta .


Tiro alla fune.

“Davanti a noi c'è una corda tesa, immaginaria, e serve ad aiutarci ad avanzare. Non sono le mani che tirano il corpo ma il tronco che si sposta verso le mani. Tirarsi avanti fino a che la gamba che è indietro, tocca il pavimento con il ginocchio. Il movimento del corpo deve essere netto e forte come la prua di una nave che fende una grossa onda.”


"Siamo delle marionette: giochi di scomposizione della testa, collo, braccia, mani, gambe piedi, ecc".


Quando siamo rialzati la situazione cambia nuovamente.

"Siamo in un una città, ad Ivrea, sta piovendo sempre più fittamente e noi siamo senza ombrello e andiamo di corsa, dobbiamo attraversare un passaggio pedonale, c'è molto traffico, uffa, un altro semaforo, è rosso, dobbiamo di nuovo fermarci, piove sempre di più, c'è un traffico indiavolato, il nostro treno sarà già arrivato, ecco, finalmente la stazione, dobbiamo fare il biglietto, c'è una coda terribile, chissà se ce la faremo, dobbiamo prendere il treno per Chivasso, arrivati a Chivasso dobbiamo aspettare il treno per Milano, che è in ritardo di un'ora".

(Durante tutto il percorso descritto e quello che descriverò in seguito drammatizziamo insieme la situazione, mentre lo facciamo chiedo ai ragazzi di intervenire e ognuno inventa ulteriori situazioni ed incontri).

Fino ad arrivare a Milano: "Stanchi, di notte, prendiamo la metropolitana e sbagliamo fermata, noi Milano la conosciamo poco, incontriamo tanta gente, una suora, magra, veloce, sbadata che va a sbattere dappertutto, incontriamo un signore con un cane più grande di lui, incontriamo dei ragazzi che suonano la chitarra e cantano, incontriamo un poliziotto, incontriamo la nostra maestra, incontriamo il nostro vicino di casa che ci sgrida sempre e qui ci possiamo vendicare, possiamo sgridare noi lui. Oddio scende la nebbia e non vediamo più niente, anche i rumori sono tutti attutiti, entriamo in un bar, almeno beviamo qualcosa di caldo."

Quando usciamo: " la nebbia è sparita e ci ritroviamo in una foresta, oh, Dio, le sabbie mobili, attenti che stiamo sprofondando, aiuto, salvatemi! (li tiro per le braccia, o per le gambe, ecc.)

Ecco ce l'abbiamo fatta, oh, no, guardate, un serpente, un cobra, scappiamo..."

La situazione cambia completamente:


"Ci guardiamo e siamo diventati degli scimpanzè, (insegno la camminata che serve per sviluppare la voce di diaframma, e anche per la stabilità), abbiamo le gambe leggermente piegate, i piedi un po' divaricati, camminiamo dondolando, con la bocca aperta, come se ci stesse cadendo la mandibola e lasciamo la voce uscire come viene, ecc.)"

Quindi esercizi gioco con la voce, partendo dallo scimpanzè, poi dall'orso, poi dal gatto, dal cane, dalla sirena, dalla pentola che sbuffa, ecc.


La situazione cambia nuovamente:

"Facciamo il gioco dello specchio " (serve per imparare ad avere movimenti precisi e, inoltre, abitua alla concentrazione )

Un bambino fa da specchio ad un altro che ne imita simultaneamente i movimenti, le espressioni, ecc.


La situazione cambia nuovamente.

"Siete due amici, (si fa con due bambini alla volta) che si sono persi in montagna, uno sul monte Bianco l'altro sul monte Rosa, le sedie sulle quali siete rappresentano le montagne, voi vi chiamate a voce alta, scandendo le parole, e vi dite tutto quello che volete, pensate che avete paura, che vi siete persi, che fa freddo, ecc."


Finito questo gioco, dopo che tutti hanno partecipato,

"Ci mettiamo tutti in piedi, in cerchio e ci buttiamo i nostri nomi come se fossero dei palloni, poi come se la voce fosse una freccia dritta, ecc."

"Emettete una -A- immaginandola connotata da diversi aggettivi, (una -A- bella, brutta, fumosa, sconfinata, imbarazzata, ecc.). Via, via, con tutte le altre vocali, propongo altri giochi, come se la -o- fosse un elastico, lo tendo con una mano e lo rilascio, gli allievi, seguendo il gesto tendono e rilasciano la loro -o-.


"Adesso facciamo i burattini, (il burattinaio posso essere io o un altro bambino, che fa muovere con fili immaginari gli altri bambini come se fossero burattini)".


Dopo questi giochi, passo ad alcuni esercizi plastici, basati sul metodo Dalcroze, il loro principio fondamentale è lo studio di vettori di movimenti contrari (ad esempio, una mano compie movimenti circolari in un senso, il gomito in quello contrario. Il lato destro del corpo è grazioso, abile, bello, ha movimenti leggiadri e armoniosi. Il lato sinistro osserva geloso il lato destro, esprimendo con dei movimenti i suoi sentimenti di risentimento e di odio. Attacca il lato destro per vendicare la sua inferiorità e cerca di avvilirlo e di distruggerlo. Il lato sinistro vince, eppure al tempo stesso è destinato a perdere perchè senza la parte destra non può muoversi. Questo è solo un esempio. Il corpo può essere facilmente diviso in settori opposti, (per esempio la parte superiore e la parte inferiore) e in immagini opposte, (per esempio le mani raccolgono, le gambe espellono). In questo modo, ogni esercizio è subordinato alla "ricerca" e allo studio dei propri mezzi espressivi, delle loro resistenze e dei loro centri comuni nell'organismo.

Esercizi della maschera facciale: boccacce, starnuti, sbadigli, pianti, risate, sospiri, ecc.


Ho elencato solo una piccola parte dei tanti giochi conosciuti e sperimentati.

Spesso, nel corso degli incontri ne invento di completamente nuovi, stimolata dalla creatività stessa dei bambini.


9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE


“Forse il genio non è per nulla così raro:

io sono le cinquecento mani di cui ha bisogno

per tiranneggiare il Kairos,

il "momento giusto" - per acciuffare il caso.”

Friedrich Nietzsche


Le valenze pedagogiche dei laboratori teatrali, secondo il mio metodo e il mio punto di vista, appartengono all’intero svolgersi dell’attività teatrale, per cui l’obiettivo non è nel risultato conclusivo, ma nel percorso creativo, espressivo e comunicativo.


L’attività teatrale deve essere parte organica di tutto il progetto educativo della scuola che sceglie di iniziare questa esperienza.

Non è sufficiente l’intervento del professionista teatrale. Il teatro è una risorsa della scuola già in parte riconosciuta dal protocollo d’intesa del Dipartimento dello spettacolo, del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Ente teatrale italiano.


IL LINGUAGGIO TEATRALE, inteso come molteplicità di linguaggi espressivi e come elemento interculturale, favorisce lo sviluppo della creatività, esplorandone tutti i "sensi" intesi come possibilità percettive, cognitive, espressive, rappresentative, comunicative, gestuali, corporee, cinestetiche, verbali, ritmiche, musicali, plastiche, cromatiche, estetiche, pittoriche, fantastiche, comiche, drammatiche, tragiche, umoristiche, etc.


Deve offrire un'attività trasversale ricca di stimoli creativi, culturali ed espressivi.


Deve potenziare pre-requisiti di tipo spaziotemporale, di conoscenza ed uso del corpo, di consolidamento degli schemi motori, di comunicazione ed espressione, di simbolizzazione verbale, di uso della voce.


Deve stabilire un rapporto più aperto ed armonioso con l'esterno e un contatto tra mondo interno del bambino / ragazzo e rappresentazione esterna.


Deve sviluppare il pensiero divergente, permettendo un apprendimento più autentico ed efficace, una maggiore fluidità delle idee, una maggiore elasticità mentale e una maggiore capacità di trovare nuove strutturazioni a situazioni date e di operare analisi astratte.


Deve consentire il decondizionamento e il superamento degli svantaggi socio-culturali.


Deve avvenire in un clima di gioia, inteso come stato emotivo che dovrà accompagnare ogni momento della realizzazione del laboratorio, al fine di favorire la creatività, mediante un processo di disinibizione che favorisca l'invenzione e la trasformazione; l’espressività, gli stati emotivi - i bisogni - le fantasie; la comunicazione attraverso la plastica corporea, il linguaggio gestuale e il linguaggio verbale; la socializzazione attraverso la "formazione" del gruppo e lo sviluppo della fiducia; l'affermazione e la valorizzazione dell'intelligenza, dell'affettività e della creatività in ogni attività motoria, cognitiva ed espressiva.


10. BIBLIOGRAFIA


Il mondo interpersonale del bambino di Stern, Boringhieri 1987


Gioco e realtà di Winnicott, Armando.


CREATIVITA': miti, discorsi, processi diAlberto Melucci, Saggi Feltrinelli


“Immaginazione e creatività nell’età infantile” di L.S. VIGOTSKJ, Editori Riuniti


“Obiettivi educativi e modelli didattici in Bloom e Guilford” di Vandevelde, Armando


Il bambino creatore di spettacolo di Lequeux, La Nuova Italia


Il colore dei pensieri e dei sentimenti di F. De Bartolomeis, La Nuova Italia


A cavallo di un manico di scopa di E. H. Gombrich, Einaudi


Il bambino come artista. Saggi sulla creatività e l'educazione di Howard Gardner, Anabasi


Intelligenze creative. Fisiologia della creatività attraverso le vite di Freud, Einstein, Picasso, Stravinskij, Eliot, Gandhi e Martha Graham di Howard Gardner, Feltrinelli.


Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell'educazione di Howard Gardner, Feltrinelli.


Intelligenze multiple di Hovard Gardner, Anabasi


Comico, creatività, educazione di Mario Valeri - Giovanni Genovesi, Guaraldi editore


Manuale minimo dell'attore di Dario Fo, Einaudi


Educare al pensiero creativo di Guilford, La Scuola


Per una psicoanalisi della creatività e dell'arte di Chasseguet - Smirgel


Creatività: la sintesi magica di Arieti, Astrolabio


Saggi sulla creatività di Rossi


Il bambino come artista. Saggi sulla creatività e l'educazione di Howard Gardner, Anabasi


Pedagogia Strutturalista a cura di Ferruccio Deva, ed. Paravia


“Per un teatro povero” di Jerzy Grotowski, Bulzoni editore


“Ipotesi sulla nozione di teatro” di Gian Renzo Morteo, Teatro Stabile di Torino Centro Studi Linea Teatrale


“Il lavoro dell’attore” di Stanislavskij, Universale Laterza