La neuropsicologia cognitiva studia le prestazioni cognitive negli individui che hanno subito una lesione cerebrale, cercando di capire quali aspetti dell’attività cognitiva sono intatti o danneggiati e cercando di trarre conclusioni sui processi cognitivi normali.
Tali informazioni possono essere utili in quanto i risultati ottenuti da soggetti con deficit cerebrali nei compiti cognitivi possono essere spiegati da teorie che appartengono alla psicologia cognitiva. Diventa così possibile utilizzare le informazioni tratte dal comportamento dei pazienti con lesioni cerebrali per confutare le teorie proposte dagli psicologi cognitivi e proporre nuove teorie del funzionamento cognitivo normale.
Le origini della neuropsicologia cognitiva.
La psicologia cognitiva e la scienza cognitiva, costituiscono un programma unificante per lo studio della mente.
Un modo per capire la psicologia cognitiva contemporanea è considerarla nel suo contesto storico. Ci sono stati cambiamenti sostanziali nella psicologia nel corso di questo secolo, cambiamenti che sono legati a mutamenti nel modo di concepire la scienza.
La visione fondamentale della scienza si fonda su tre assunti centrali:
1) la scienza è oggettiva;
2) lo scienziato deve registrare i fatti sulla natura attraverso l’osservazione e la sperimentazione;
3) la conoscenza scientifica è il risultato dell’amalgama di questi fatti in generalizzazioni tipo leggi.
Tuttavia, se questo approccio può sembrare applicabile alle scienze fisiche, lascia scoperte molte altre scienze come la psicologia o la sociologia, almeno fino all’avvento del comportamentismo, uno dei genitori della psicologia cognitiva.
- Il comportamentismo è stato influenzato da una versione estrema della tradizionale visione della scienza chiamata positivismo logico. Quest’ultimo sosteneva che le teorie potessero essere giustificate solo attraverso un appello ai fatti osservati e che i costrutti teorici fossero significativi solo se erano osservabili. Questa impostazione generale è stata resa concreta da comportamentisti quali Watson e Skinner, che hanno costruito una “psicologia scientifica” ammettendo solo le entità osservabili e rifiutando l’uso dei costrutti mentali ipotetici. L’enfasi era posta sulla relazione tra gli stimoli osservabili (aspetti della situazione) e le risposte osservate (aspetti del comportamento dell’organismo).
Il paradigma comportamentista prevede uno stimolo che passa attraverso una black box e dà origine ad una risposta [S-->(BB)-->R]. Solo i fisiologi possono occuparsi della black box, mentre gli psicologi si devono occupare solo dei dati osservabili.
Il comportamentismo ha fallito il tentativo di soddisfare le aspettative e di essere una soddisfacente scienza dell’attività cognitiva umana; è ovvio che focalizzarsi esclusivamente sullo stimolo osservabile e sulla relativa risposta è del tutto non informativo per comprendere ciò che è effettivamente l’oggetto dell’interesse (es. i processi di pensiero e le strategie implicate nella soluzione del problema).
Questi limiti del comportamentismo hanno portato alla controrivoluzione della psicologia cognitiva.
- La psicologia cognitiva. Con la psicologia cognitiva nasce il paradigma che prevede lo stimolo, il costrutto ipotetico e la risposta [S-->(HC)-->R). Tra i costrutti ipotetici ricordiamo: lo “schema mentale” di Bartlett, cioè la collocazione o setting organizzata di precedenti eperienze e reazioni (non si tratta di una collezione di immagini mentali, ma di una ricostruzione dell’esperienza passata che ci permette di reagire a nuove situazioni) e le “mappe cognitive” di Tolman, cioè rappresentazioni spaziali (ad es. del punto in cui si trova il cibo di un ratto all’interno di in un labirinto).
Dopo la seconda guerra mondiale si è sviluppata la corrente della psicologia dell’elaborazione dell’informazione.
- La psicologia dell’elaborazione dell’informazione immaginò la mente come un meccanismo simile a congegni di trasmissione. Si postulò che l’informazione venisse filtrata, selezionata, raggruppata, etc...Brodbent fu un rappresentante di questa corrente che si sviluppò in Inghilterra. Il paradigma viene così modificato: [S-->(INFORMATION PROCESSING)-->R].
-In USA si utilizzò la metafora del computer : la mente non è altro che il software del computer che abbiamo in testa (nella nostra testa ci sono rappresentazioni cognitive della realtà esterna e programmi che operano su queste rappresentazioni). Il paradigma utilizzato è il seguente: [S-->SOFTWARE (rappresentazioni mentali)-->R].
In questo modo sono arrivati nella black box i concetti mentalistici, ma si ignorano ancora le basi neurali dell’attività mentale.
Nasce così la neuropsicologia, che insieme alla fisiologia si occupa della relazione tra substrato neurale e attività mentale.
- Secondo la neuropsicologia cognitivista nella scatola cranica si distingue un hardware (sistema nervoso) e un software (mente) innato, determinato geneticamente, plastico, che interagisce con l’ambiente. Il paradigma diviene il seguente: [S-->(SOFTWARE+HARDWARE)-->R]. Questo paradigma non è del tutto adeguato perchè il sistema nervoso è plastico, computer no; inoltre al computer vengono dati programmi già creati, il sistema nervoso se li crea da solo tramite l’esperienza. Il sistema nervoso ha sia processi infracognitivi (bottom up), dove non vi è l’influenza dei processi mentali (es. illusioni), sia processi cognitivi (top down).
Il riconoscimento da parte di uno dei maggiori comportamentisti (Tolman) che l’apprendimento, anche nei ratti, può essere compreso solo facendo riferimento a strutture interne e a processi, piuttosto che a risposte motorie, è stata una delle tappe più importanti nella storia della psicologia cognitiva. Un’altra influenza principale sullo sviluppo della psicologia contemporanea è la ricerca condotta dai neuropsicologi del XIX sec.; essi cercavano di spiegare i vari tipi di deficit delle capacità linguistiche in soggetti con lesioni cerebrali, ipotizzando danni a specifiche componenti per l’elaborazione del linguaggio. Essi cercarono, inoltre, di identificare le parti del cervello in cui queste componenti erano localizzate.
Nonostante l’importanza dei primi lavori di James (memoria primaria e memoria secondaria, 1890), di Tolman (mappa cognitiva, 1932), degli psicologi del XIX secolo e di altri, è dunque solo nel corso degli anni ‘50 che la psicologia cognitiva è riuscita effettivamente ad affermarsi.
Nel 1958 Broadbent ebbe l’importante intuizione che si sarebbe potuto iniziare a comprendere meglio fenomeni quali la percezione, l’attenzione, la memoria a breve termine, costruendo una teoria basata sull’elaborazione delle informazioni che descrivesse il flusso di informazioni attraverso un sistema cognitivo unitario (la percezione, l’attenzione, la memoria non sarebbero sistemi separati).
L’avvento dei computer digitali è stato un altro fattore che ha influenzato il formarsi della psicologia cognitiva. Il computer era la metafora utilizzata per spiegare il funzionamento della mente: come il calcolatore, l’uomo era visto come un elaboratore di informazioni. Il calcolatore diviene metafora del pensiero umano; le teorie vengono espresse sottoforma di modelli computazionali.
Dagli anni ‘60 ai ‘70 era di moda seguire Broadbent, nel considerare gran parte delle attività cognitive come una sequenza seriale di stadi di elaborazione (stimolo-->processi attenzionali-->trasferimento dei prodotti dell’elaborazione percettiva iniziale nella memoria a breve termine-->processi di ripetizione-->memoria a lungo termine). In questo modo era possibile seguire il cammino dello stimolo in ingresso a partire dagli organi di senso fino alla memoria a lungo termine (M.L.T.). Limite di questo approccio teorico era quello di non permettere facilmente di spiegare alcune fondamentali attività cognitive quali il pensiero o la soluzione di problemi. Il modello a stadi sequenziali è una ipersemplificazione troppo grossolana: in realtà l’elaborazine è chiaramente condizionata dalla natura degli stimoli presentati, dall’esperienza passata dell’individuo, dalle sue aspettative etc... Il modello a stadi sequenziali affronta quasi esclusivamente l’elaborazione bottom-up o guidata dai dati in ingresso e il suo fallimento nel trattare l’elaborazione top-down (processi guidati dai concetti, dall’alto al basso), è la sua unica maggiore inadeguatezza.
Verso la fine degli anni ‘70 alcuni teorici tra cui Neisser (1976), iniziarono a sostenere che l’attività cognitiva è costituita da processi interattivi che si svolgono contemporaneamente, sia guidati dai dati (bottom-up), che guidati dai concetti (top-down). Questo sembra essere vero, in linea di principio, per tutti i processi cognitivi.
Alla fine degli anni ‘70 tutti gli psicologi cognitivi, in generale, erano d’accordo sul fatto che il paradigma dell’elaborazione di informazioni fosse il modo più adeguato per studiare l’attività cognitiva umana. In realtà questo approccio tende ad essere piuttosto limitato perchè il sistema cognitivo viene considerato in modo isolato rispetto alle influenze degli aspetti motivazionali ed emozionali ed anche perchè molto spesso le differenze individuali nel funzionamento cognitivo vengono ignorate.
Attualmente, la maggior parte dei ricercatori che lavorano nel campo della psicologia cognitiva, aderiscono, ancora oggi, ai principi generali dell’approccio dell’elaborazione delle informazioni. Ciò nonostante, il quadro attuale della disciplina è di notevole diversità sia negli scopi che negli approcci.
(Contributo On-line)
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