lunedì 30 gennaio 2012

IL CASO DI PHINEAS GAGE



Phineas Gage era caporeparto di una squadra di operai impegnati nella costruzione della linea ferroviaria Burlington-Rutland vicino a Cavendish nel Vermont. Scavavano nella roccia realizzando dei fori profondi che riempivano di dinamite, poi inserivano una sbarra di ferro e tappavano l’entrata del foro con della sabbia, in modo che la forza dell’esplosione si dirigesse verso il masso roccioso. Il 13 settembre 1848, Phineas aveva 25 anni e stava riempiendo un foro con polvere esplosiva e inserendo la sbarra di ferro. Improvvisamente una scintilla bruciò la polvere esplosiva e il ferrò schizzò a grandissima velocità dritto nel cranio di Gage. Entrò da sotto l'osso di sinistra della guancia e sbucò dalla parte superiore della testa, per essere poi ritrovato e recuperato a circa 30 metri dal luogo dell'incidente.
Il medico che successivamente lo assistette, John Martin Harlow, annotò che il ferro era stato trovato “parecchi metri dietro di lui, dove era stato recuperato dai suo uomini imbrattato di sangue e cervello” . Il ferro era di 1 metro e 10 cm circa di lunghezza e 3 cm di diametro ad un'estremità, mentre l’altra estremità, più smussata, misurava circa mezzo cm di diametro, e pesava più di 6 chilogrammi. Se Phineas abbia perso conoscenza non si sa, ma sorprendentemente era cosciente e in grado di camminare entro pochi minuti dall'incidente. Fu messo quindi su un veicolo e trasportato nella casa in cui alloggiava. Qui fu assistito da John Martyn Harlow, il medico locale. 
Harlow gli pulì le ferite rimuovendo piccoli frammenti di ossa e cercando di fissare alcuni frammenti più grandi del cranio che erano rimasti, ma erano stati spostati dal ferro. Chiuse dunque la ferita più grande nella parte superiore della testa con delle bende adesive. Le ferite di Phineas non vennero dunque trattate chirurgicamente, ma lasciate aperte a colare nel tessuto. Non sorprende che il cervello si infettò e Gage precipitò in uno stato semicomatoso. La sua famiglia preparò la bara e il funerale, ma Phineas non aveva intenzione di morire in quel momento. 


Rapporti medici sull'incredibile caso.

Il primo rapporto scientifico sul caso, redatto dallo stesso Harlow, comparve pochi mesi dopo come lettera all’editore del Boston Medical and Surgical Journal. L’articolo si chiamava “Passage of an Iron Rod Through the Head " . Harlow descrive in quell’occasione Gage “of middle stature, vigorous physical organization, temperate habits, and possessed of considerable energy of character. Il 18 novembre 1848, stando al rapporto, Gage risultava rimesso completamente, senza neppure dolori alla testa.
Al di là di una dettagliata cronistoria degli eventi, vi erano contenuti pochi particolari neurologici.
Fu solo nel 1868, venti anni più tardi e quando Phineas Gage era già morto, che Harlow documentò per la prima volta, in un rapporto pubblicato nel bollettino della società medica del Massachusetts, "le manifestazioni mentali" delle lesioni al cervello di Gage. Secondo Harlow il paziente aveva sì recuperato “il possesso completo della ragione” dopo l'incidente, ma sua moglie e la gente vicino a lui avevano presto cominciato a notare cambiamenti drammatici nella sua personalità. Di seguito le sue parole:


I suoi superiori, che lo consideravano come il più efficiente e capace caporeparto che avessero prima dell’ incidente hanno ritenuto che il cambiamento della sua mente sia così marcato da rendere impossibile ridargli nuovamente il posto. E’ umorale, irriverente, indulge a volte in bestemmie (che non era sua abitudine pronunciare), manifestando poca deferenza nei confronti dei colleghi, impaziente quando qualcosa è in conflitto con i suoi desideri, occasionalmente pertinace, tuttavia capriccioso e vacillante, si fa ideatore di molti progetti per il futuro che non realizza e che abbandona presto per altri che appaiano più fattibili. A questo proposito, la sua mente è così radicalmente cambiata che i suoi amici e conoscenti dicono “non è più lui”.
Il danno alla corteccia frontale (oggi lo sappiamo) aveva provocato una perdita completa delle inibizioni sociali.


Sinistra o entrambe? 

Nella sostanza, il ferro aveva effettuato una vera e propria lobotomia frontale, ma la natura esatta del danno è oggetto di controversie ancora oggi. Questo perché i danni possono essere dedotti soltanto dal percorso del ferro nel cranio di Gage, ma poiché la circonferenza della ferita nell'osso frontale è molto più grande del diametro massimo del ferro, è difficile determinare precisamente la traiettoria seguita dalla sbarra.
Nel 1994, Hannah Damasio e colleghi dell'università dell’ Iowa hanno usato tecniche di neuroimaging (vedi la foto in alto) per ricostruire il cranio di Gage.
La conclusione di questo studio è stata che Gage ha subito un danno ad entrambe le cortecce prefrontali destra e sinistra. 
Al contrario, secondo le ricostruzioni tridimensionali generate da una TAC, effettuate da Ratiu e colleghi, il danno del cervello di Gage sarebbe stato limitato all'emisfero di sinistra. 


Sia quel che sia, la vicenda di Phineas Gage pose le basi per un nuova idea dei rapporti fra mente, cervello e comportamento. 


Ma che fine fece poi?

Incapace di riprendere il suo lavoro precedente come caporeparto, si dice abbia viaggiato nel New England e persino in Europa provando a guadagnare soldi con la sua barra di ferro. Si dice che si sia presentato per qualche tempo come curiosità al Circo Barnum di New York. Anche se qualcuno sostiene che il Barnum Newyorkese a cui dovrebbe riferirsi Harlow è un museo e non il circo. 
La storia di Phineas Gage è anche costellata di invenzioni e false notizie che ne hanno alimentato il mito e la leggenda. Non solo la natura esatta del danno neurologico, ma anche i particolari della sua vita dopo l'incidente, sono controversi ancora oggi. Si sa che dal 1851 a poco prima della sua morte, lavorò come autista prima ad Hannover, nel New Hampshire, per circa 18 mesi e poi in Cile per circa 7 anni. Ma nulla conosciamo della qualità della sua vita, delle abilità intellettuali che aveva conservato o degli altri eventuali cambiamenti della sua personalità. 
Morì a San Francisco il 20 maggio 1860, circa 13 anni dopo l’ incidente, a causa delle complicazioni di una crisi epilettica.
Un'analisi sul cervello di Gage non è stata mai condotta. Nel 1867, il corpo di Gage fu esumato dal cognato e il suo cranio e il ferro inviati al Dott. Harlow.
Ora sono conservati al Warren Anatomical Museum  della Harvard University School of Medicine.

(Contributo On-line)


venerdì 27 gennaio 2012

I NEURONI


I neuroni

I neuroni sono cellule nervose destinate alla produzione ed allo scambio di segnali; rappresentano quindi l'unità funzionale del sistema nervoso, cioè la più piccola struttura in grado di eseguire tutte le funzioni cui è preposto.
Il nostro cervello contiene circa 100 miliardi di neuroni, variabili per forma e posizione ma accumunati da alcune caratteristiche. La principale peculiarità riguarda i lunghi prolungamenti che si dipartono dal corpo cellulare, chiamati dendriti se ricevono informazioni ed assoni se le trasmettono.
La maggior parte dei neuroni è caratterizzato da tre regioni: il corpo cellulare (detto anche pirenoforo, perikarion o soma), i dendriti e l'assone (o neurite).
NeuroneSeppur con le dovute eccezioni, il corpo cellulare (soma) assomiglia ad ogni altra cellula "standard" dell'organismo. Spesso di forma sferica (gangli sensitivi), piramidale (corteccia cerebrale) o stellata (motoneuroni), il corpo cellulare contiene il nucleo e tutti gli organelli necessari per la sintesi degli enzimi e delle altre molecole essenziali per la vita della cellula. Particolarmente sviluppati sono il reticolo endoplasmatico rugoso- ricco di ribosomi che si organizzano in aggregati detti Corpi di Nissl o sostanza tigroide - e l'apparato del Golgi; abbondanti sono anche i mitocondri.
La posizione del soma varia da neurone a neurone, spesso è centrale e solitamente ha dimensioni contenute, anche se non mancano le eccezioni.
dendriti (da dendrom, albero) sono ramificazioni sottili di forma tubolare, la cui principale funzione è ricevere segnali in entrata (afferenti). Sono quindi deputati alla conduzione degli stimoli dalla periferia verso il centro o soma (direzione centripeta). Queste strutture amplificano la superficie del neurone, consentendogli di comunicare con molte altre cellule nervose, a volte diverse migliaia. Anche per questo elemento cellulare non mancano le variabili; alcuni neuroni, ad esempio, possiedono un solo dendrite, mentre altri si caratterizzano per ramificazioni altamente complesse. Inoltre, la superficie di un dendrite può essere ulteriormente estesa dalle cosiddette spine dendritiche (protrusioni citoplasmatiche), su ognuna delle quali prende contato sinattico un assone proveniente da un altro neurone. Nel SNC la funzione dei dendriti può essere più complessa rispetto a quanto descritto; le loro spine, in particolare, possono funzionare come compartimenti a sé stanti, in grado di scambiare segnali con altri neuroni; non a caso molte di queste spine possiedono poliribosomi e come tali possono sintetizzare proteine proprie.
NeuroniL'assone è una sorta di prolungamento, un appendice di forma tubulare che può superare il metro di lunghezza (come accade nei neuroni che controllano la muscolatura volontaria) o fermarsi a pochi µm. Deputato alla trasmissione dei segnali dal centro verso la periferia (direzione centrifuga), l'assone è generalmente singolo, ma può presentare delle ramificazioni collaterali (che si dipartono in lontananza dal soma) od un'arborizzazione terminale. Quest'ultima caratteristica, abbastanza comune, permette all'assone di distribuire l'informazione in diverse destinazioni nel medesimo istante. Quindi, normalmente, vi è un solo assone per cellula nervosa con numerose diramazioni che gli consentono di influenzare i neuroni adiacenti.
L'assone è spesso avvolto da una guaina lipidica (laguaina mielinica o mielina), che contribuisce ad isolare ed a proteggere le fibre nervose, oltre che ad aumentare la velocità di trasmissione dell'impulso (da 1 m/s a 100 m/s, cioè quasi 400 km/h). Gli assoni mielinizzati si trovano generalmente nei nervi periferici (neuroni motori e sensitivi), mentre neuroni non-mielinizzati si trovano nel cervello e nel midollo spinale.
La guina mielinica - sintetizzata dalle cellule di Schwann nel SNP e dagli oligodendrociti nel SNC - non ricopre uniformemente l'intera superficie dell'assone, ma lascia scoperti alcuni suoi punti, denominati Nodi di Ranvier. Tale interruzione, obbliga gli impulsi elettrici a saltare da un nodo all'altro, accelerando il trasferimento degli stessi.
La fibra nervosa è costituita dall'assone - che è la struttura fondamentale della conduzione dell'impulso - e dalla guaina (mileinica od amielinica) che lo riveste.
Il punto di origine somatico dell'assone è detto cresta (o monticolo) assonale, mentre all'estremità opposta la maggior parte dei neuroni presenta un rigonfiamento, detto bottone (o terminale) assonale (o sinaptico), che contiene mitocondri e vescicole membranose importanti per il funzionamento della sinapsi. Queste ultime strutture sono dei punti di raccordo tra i bottoni sinaptici del neurone ed altre cellule (nervose e non), preposti al trasferimento dell'impulso nervoso. La maggior parte delle sinapsi sono di tipo chimico e come tali prevedono il rilascio, da parte dei bottoni assonali, di particolari sostanze dette neurotrasmettitori ed immagazzinate in vescicole.
PRINCIPALI DIFFERENZE TRA
ASSONIeDENDRITI
Portano le informazioni via dal corpo cellularePortano le informazioni al corpo cellulare
La loro superficie è lisciaSuperficie ruvida spine dendritiche
Generalmente ce n'è uno solo
per cellula
Ce ne sono generalmente molti per ogni cellula
Non hanno ribosomiHanno ribosomi
Possono essere mielinizzatiNon sono mielinizzati
Si ramificano lontano dal corpo cellulareSi ramificano vicino al corpo cellulare















L'assone contiene numerosi mitocondri, neurotubuli e neurofilamenti. Queste ultime strutture sostengono l'assone, che a volte è particolarmente lungo, e consentono il trasporto di sostanze al suo interno. Tuttavia, mentre i dendriti sono ricchi di ribosomi, una caratteristica importante degli assoni è l'assenza corpi di Nissl, quindi di ribosomi e di reticolo endoplasmatico rugoso. Per questo motivo ogni proteina destinata all'assone dev'essere sintetizzata a livello del corpo cellulare del neurone e poi veicolata verso di esso. Questo traffico - denominato trasporto (o flusso) assonale (o assonico) - è fondamentale per rifornire il bottone sinaptico degli enzimi necessari per la sintesi dei neurotrasmettitori.
Forma dei neuroniIl trasporto lungo l'assone è bidirezionale: la maggior parte avviene in senso anterogrado, cioè dal corpo cellulare verso le terminazioni assoniche, mentre per le vecchie componenti di membrana del terminale sinaptico si verifica un trasporto retrogrado, finalizzato al riciclo delle stesse.
Il traffico anterogrado si svolge a due diverse velocità (rapido o lento). Il trasporto assonale lento veicola elementi dal pirenoforo all'assone ad una velocità di 0,2-2,5 mm al giorno; come tale interessa prevalentemente costituenti citoscheletrici ed altre componenti che non sono consumate rapidamente dalla cellula. Il trasporto veloce, al contrario, interessa prevalentemente vescicole secretorie, enzimi del metabolismo dei neurotrasmettitori e mitocondri, che procedono verso il bottone sinaptico a velocità comprese tra i 5 ed i 40 cm (400 mm) al giorno.
In base alla forma si riconoscono numerosi tipi di neuroni. I più comuni sono multipolari, cioè hanno un unico assone e molti dendriti (sono tipicamente i neuroni che controllano i muscoli scheletrici). Neuroni pseudounipolariAltri neuroni sono bipolari, con un assone ed un dendrite, altri ancora sono unipolari, presentando solo l'assone. Ne esistono anche di anassonici, privi di un assone evidente e tipici del SNC, mentre a livello dei gangli cerebro-spinali si trovano neuroni pseudounipolari, cioè caratterizzati da un aspetto a T derivante dalla fusione dell'unico assone e dell'unico dendrite, che poi si dipartono in direzioni opposte.
In base alla funzione, i neuroni possono essere classificati in:
Neuroni sensitivi (tattili, visivi, gustativi ecc.): deputati a ricevere segnali sensoriali;
Interneuroni: deputati all'integrazione dei segnali;
Motoneuroni: deputati alla trasmissione dei segnali.
neuroni sensitivi (o di senso) raccolgono informazioni sensoriali dall'esterno (neuroni sensitivi somatici) e dall'interno del corpo (neuroni sensitivi viscerali). Entrambi appartengono alla categoria dei neuroni psuedounipolari; il loro pirenoforo è sempre collocato all'interno di un ganglio (aggregato di corpi cellulari) esterno all'SNC, mentre gli assoni di questi neuroni (fibre afferenti) si estendono dal recettore al sistema nervoso centrale (vedi figura).
neuroni motori (o motoneuroni) presentano assoni (fibre efferenti) che si allontanano dal sistema nervoso centrale (nella cui sostanza grigia si trova il soma) e raggiungono gli organi periferici. Si distinguono in neuroni motori somatici (per i muscoli scheletrici) e neuroni effettori viscerali (per i muscoli liscicuore e ghiandole).
neuroni associativi o interneuroni si trovano nel SNC e sono i più numerosi. Analizzano gli stimoli di senso in ingresso e coordinano quelli in uscita, consentendo quindi di MODULARE le risposte nervose.

(Contributo on-line)

giovedì 26 gennaio 2012

LA NEURORIABILITAZIONE


E’ lo studio delle possibilità riorganizzative del cervello leso; evidenze di neuroplasticità post-lesionale sono state riportate sia nell’animale che nell’uomo.
Più complessa e meno studiata é la possibilità che le capacità riorganizzative presenti dopo lesioni cerebrali siano quidabili al fine di ottimizzare il trattamento riabilitativo.
In un esperimento di Nudo e Call (1996b) nel quale venivano provocate lesioni controllate di zone della corteccia motoria coinvolte nella motilità fine della mano, si osservò che se gli animali non lesionati venivano sottoposti a trattamento riabilitativo, non si assisteva ad alcun recupero della funzione danneggiata né a riattivazione dei territori corticali adiacentia quelli interatuati. Se invece gli animali erano sottoposti a trattamento specifico consistente nell’esecuzione di movimenti delle dita rappresentate nell’area lesa, si assisteva al recupero funzinale il cui substrato nervoso sembra risiedere nei territori nervosi adiacenti a quello danneggiato sperimentalmente.
Ancora più recente é la dimostrazione diretta nell’uomo che una determinata terapia riabilitativa aiuta l’espansione della rappresentazione nervosa dannaggiata da una lesione vascolare. Va però sottolineato che non sempre l’ampliamento delle superfici rappresentazionali non é necessariamente espressione di miglioramento funzionale.
L’esistenza di fenomeni riorganizzativi a breve e a lungo termine, riveste grande importanza per la comprensione dei possibili meccanismi neuroplastici. L’analisi al livello dei circuiti suggerisce che, mentre il cambiamento a lungo termine può basarsi sulla formazione di nuove connessioni, i mutamenti osservati entro pochi minuti da una manipolazione sperimentale si spiegano solo con un smascheramento di connessioni preesistenti tra punti diversi del sistema nervoso.
Una recente tassonomia a livello dei sistemi prevede l’esistenza di quattro principali forme di neuroplasticità :
- l’espansione delle mappe rappresentazionali;
- la riassegnazione cross-mediale per effetto della quale, ad esempio, individui cechi dalla nascita mostrano attività nella corteccia visiva durante il compito di lettura richiesto dal Braille;
- adattamento di aree omologhe a quelle lese, che consente, anche se solo in alcune circostanze, di ricaricare la funzione danneggiata;
- compenso mascherato, prevede che un sistema cognitivo intatto prenda in carico le funzioni di un sistema leso riducendo la gravità di un dato deficit.
Lo scopo della riabilitazione non é di modificare la prestazione ai test neuropsicologici, ma piuttosto di migliorare l’adattamento funzionale del paziente e il suo benessere soggettivo. I dati neuropsichiatrici aiutano nel determinare le risorse cognitive disponibili risparmiate dalla lesione cerebrale. L’acquisizione dei dati neuropsicologici rende possibili delle interferenze riguardo alle funzioni cognitive (compromesse e risparmiate) che sono direttamente o indirettamente necessarie per un adattamento all’ambiente, o che influenzano un’intenzione. In secondo luogo i dati neuropsicologici sono utili per determinare l’abilità del paziente di apprendere e generalizzare nuove strategie per risolvere i problemi quotidiani del mondo reale. In questo contesto lo scopo della riabilitazione é di modificare le strategie e i compensi di cui il paziente dispone per un adattamento funzionale nonostante il danno subito.
- E’ inoltre indispensabile tenere in considerazione le differenze individuali. Nella pratica clinica, lo studio delle delle differenze individuali spesso contraddice le previsioni formulate per mezzo di gruppi di studio e di analisi statistiche. Le differenze individuali nell’uso di strategie e nella risposta emotiva, nell’organizzazione e nella localizzazione delle funzioni, nelle risorse biologiche e psicologiche premorbose, nella reattività fisiologica ai farmaci o nel supporto familiare, per citare alcuni fattori, possono influenzare in modo significativo il recupero.
Alcuni pazienti elaborano spontaneamente delle strategie compensatorie, mentre altri mostrano un rifiuto totale.
Il neuropsicologo dovrà quindi studiare con molta attenzione queste differenze individuali potenzialmente molto importanti, utlizzandole nell’interpretazione dei dati neuropsicologici e insieme nell’interpretazione degli interventi riabilitativi.
- Nell’ambito della riabilitazione inoltre il funzionamento cognitivo é influenzato da fattori interpersonali; gli interventi riabilitativi dovrebbero cercare di ottimizzare i potenziali benefici di questa interazione. Paziente e terapista dovrebbero essere uniti da obiettivi riabilitativi comuni, che vengono stabiliti e controllati dal paziente insieme al terapista.
- Il danno cerebrale, spesso produce anche una significativa ansia esistenziale nel paziente e nei suoi familari. Il recupero di un significato e di un senso del sé avviene attraverso lo sviluppo di un’identità che spesso é, perlomeno temporaneamente, frammentata dalla lesione cerebrale. La comparsa improvvisa di disturbi cognitivi, di una trasformazione della personalità (es. nel trauma cranico), di una perdita di interesse per le attività produttive e di svago, nonché dell’effetto di rinforzo che esse hanno, rappresenta una minaccia per l’identità e costringe l’individuo con un sistema cognitivo alterato allo sviluppo e all’accettazione di nuove priorità.
Le aspettative non devono essere irrealistiche, altrimenti possono portare a stress psicologico.
- E’ dunque necessario considerare anche le conseguenze psicosociali, risultato di numerose variabili, in primo luogo la gravità della lesione e i disturbi cognitivi, metacognitivi (funzioni esecutive: volontà, pianificazione, produzione di strategie, di soluzioni di problemi), neurocomportamentali, nonché le relazioni emotive che accompagnano la lesione. Diversi fattori individuali modulano l’adattamento psicosociale. Per esempio, il tipo di controllo (interno o esterno), le reazioni emotive alla disabilità e all’adattamento psicosociale. In ambito clinico é prioritario per il neuropsicologo studiare attentamente le differenze individuali di origine fisiopatologica, psicologica e ambientale che possono incidere positivamente o negativamente sull’out come psicosociale a lungo termine.
Questa analisi individuale fornisce un quadro di riferimento per il trattamento neuropsicologicoe la riabilitazione. Quanto puù il paziente é cognitivamente flessibile, tanto migliore é la prognosi, presumibilmente perché egli é in grado di compensare i deficit apprendendo nuove strategie alternative. E’ dunque necessario un approccio globale ed individualizzato per non frammentare gli aspetti dinamici ed interattivi della persona. La nostra sfida e il nostro privilegio é tentare di scoprire ogni individuo a livello cognitivo, neurocomportamentale, emotivo e interpersonale, con la speranza di migliorare il significato e la qualità della sua vita.
- Quando iniziare? Ogni riabilitatore sa che intervenire in una fase molto precoce del recupero post-lesionale, oltre a non consentire di distinguere quale sia il recupero spontaneo da quello favorito dalla riabilitazione, appare inopportuno in quanto il paziente presenta un quadro clinico in cui coeseistono sintomi mlultipliinterdipendenti tra loro in rapida evoluzione, che non consentano, quindi, di costruire un progetto riabilitativo effettivo. Solo in una fase successiva é possibile avviare un progetto riabilitativo che tenga conto dei disturbi e preveda l’applicazione di metodologie (cognitive, comportamentistiche, di compenso, ecc...) che tengano conto, soprattutto delle capacità residue del paziente e dei problemi che maggiormente condizionano la sua autonomia nella vita di tutti i giorni.
Indispensabile per una riabilitazione efficace é la motivazione del soggetto, specie nel campo dell’autonomia quotidiana e del lavoro.

(Contributo Online)

L'ANTROPOLOGIA COGNITIVA


Come nasce l’antropologia cognitiva:

- da una parte ha la sua matrice storica nell’ambito delle altre e varie scienze antropologiche (dette
discipline Demo-Etno-Antropologiche in quanto raggruppano le varianti della Demologia,
dell’Etnologia e dell’Antropologia, sia interne che esterne a ciascuna di queste;
- dall’altra ha un proprio titolo di campo scientifico nell’ambito del complesso denominato scienze
cognitive.
Punto comune tra questi due rami del sapere che configurano l’antropologia cognitiva è l’esperienza
di ricerca sul campo: l’etnografia nella e della alterità riguardo le forme del pensiero, i suoi codici di
espressione in contesti culturali definiti e diversi dai nostri per un qualche carattere storico.
Due i paradigmi dell’antropologia cognitiva o studi etno-cognitivi:
- la unità psichica del genere umano,
- la diversità di forme del pensiero è dovuta alla diversità delle forme culturali entro cui le prime
vengono prodotte e devono essere spiegate.
Da dove nasce: alcuni studiosi identificano l’origine dell’antropologia cognitiva a partire dagli studi
linguistici, etnolinguistici e di etnoscienza nella caratterizzazione statunitense dagli anni ‘950 in poi,
mentre questa “nuova” scienza si forma in realtà con l’assommare una serie di tematiche e filoni di
studio ben più ampi ed antichi che partono fin dall’origine degli studi sociologici ed antropologici.
Infatti, ad una attenta considerazione storiografica, le radici storiche dell’antropologia cognitiva
negli studi antropologici emergono come un crescendo che, provenendo nel tempo da diversi campi,
confluiscono negli ultimi 20 anni in un complesso dai molti interessi ma unificato per quanto detto
finora.
La matrice di questo sviluppo fa riferimento a studi su:
- mentalità primitiva tra ontologie e naturalismo:  Émile Durkheim (1898) e Marcel Mauss
(1901-1902); Franz Boas (1911); Lucien Lévy-Bruhl (1910-35);
- carattere dello spirito: forme sociali e storicismo: Remo Cantoni (1938-41), Ernesto de Martino
(1941) e Giuseppe Cocchiara (1948);
- ambiente culturale e sviluppo del pensiero: J. Piaget, L. Vygotskij, A. Lurija; D. R. PriceWilliams, C. R. Hallpike; J. S. Bruner, M. Cole, D. R. Olson; B. Whorf, E. Sapir, N.
Chomsky; B. Bernstein; M. McLuhan; J. Jaynes; G. Bateson (dagli anni ‘950 agli ’980); 2
- il pensiero selvaggio: Claude Lévi-Strauss (1949 e 1962 segg.); dagli anni ‘970: Alberto Cirese,
Vittorio Lanternari, Francesco Remotti, Michel Foucault, Maurice Godelier, Rodney
Needham, Marshall Sahlins, Edmund Leach, Jack Goody, Maurice Bloch;
- le categorie del pensiero: etnoscienza ed antropologia simbolica:
- temi specifici d’analisi all’interno dell’ormai vasto campo dell’antropologia cognitiva: H. Putman
(1975); H. Gardner (1983); P. N. Johnson-Laird (1983, 1988);
- etnoscienza: G. R. Cardona (1985a, 1985b);
- antropologia simbolica: M. Douglas (1970a, 1970b); C. Hugh-Jones (1979);
- categorie del pensiero di tempo, spazio, numero, colore, logica delle relazioni (Pignato 1987b; La
Cecla 1987; Gnerre 1987; Cardona 1980, 1987; Giannattasio 1987; Squillacciotti 1986,
1994, 1995, 1996a, 1996b, 2004, 2006);
- riflessioni sulla storiografia della scienza antropologica: S. Mancini (1989); L. Moruzzi (1991);
- limiti e questioni di epistemologia della cognizione e del simbolismo: D. Sperber (1974, 1982,
1996);
- tentativi di trasferimenti interdisciplinari di acquisizioni circa la dimensione cognitiva della specie
umana: T. Dobzhansky (1962); A. Leroi-Gourhan (1964); K. Lorenz 1965; C. Geertz (1973,
2000); M. Sahlins (1977); A. M. Cirese (1984); V. Turner (1986); G. Angioni (1986);
Tattersall 2002; T. Ingold (2004); L. L. Cavalli Sforza (2004); M. Tomasello (2005);
- aggiornamento della “ipotesi di Sapir-Whorf”, il rapporto tra categorie di lingua e categorie del
pensiero: L. Giannelli, L. e M. R. Sacco (1999), G. R. Cardona (1980), M. Squillacciotti
(1986, 1994, 1995, 1996b, 1998a, 2000a, 2004).
- codici dell'oralità e della scrittura: Walter Ong (1967, 1982), J. Goody (1977, 1987); G. R.
Cardona (1981); D. R. Olson (1979), D. R. Olson e N. Torrance (1991); M. Squillacciotti
(1986, 1998a, 2000a,).
- processi di pensiero e scienze cognitive
C. Geertz (2000); T. Ingold (2004); A. Acerbi (2003, 2005). S. Lutri (2008).

La cognizione

L’Antropologia Cognitiva, dunque, studia la cognizione, secondo i paradigmi già enunciati.
Chiarisco subito che la prospettiva di studio dell’evoluzione umana, del processo di ominazione e
costituzione della specie:
- non dipende da un caso, né da una necessità, né da un atto creativo di qualsivoglia origine; 3
- non si verifica prima la trasformazione e l’assetto del corpo, poi formazione della psiche ed infine
la modificazione e la speciazione del cervello con  le relative funzioni cognitive e categorie del
pensiero;
- non é merito di un particolare sviluppo del cervello con l’ampliamento delle sue possibilità
applicative, né dell’aumento in sé della grandezza della sua massa.
La spiegazione passa per la definizione di cognizione: con il termine  cognizione indichiamo il
processo mentale di comprensione delle regole che governano il mondo e di significazione del
mondo, processo attivo di presa di possesso e di attribuzione di significato del sé e dell’ambiente
naturale e culturale da parte dell’uomo.
La cognizione è una condotta intelligente, è una azione anche quando rimane solo nel pensiero, e
si struttura utilizzando gli organi di prensione, di senso e poi di parola; occupa il tempo e lo spazio;
si svolge con un ritmo.
Processo di mediazione mentale del soggetto (che si costruisce come persona) con il sé, gli altri ed
il mondo in un ambiente; come dire che la cognizione è:
Incorporata – Contestualizzata – Situata – Distribuita – Socializzata – Cumulativa – Mediata -
Tacita.
Processo attivo, dunque, perché l’uomo nel produrre il mondo, in cooperazione con gli altri uomini,
prende coscienza del suo operare e del suo collocarsi nel processo produttivo: la sua “natura”
diviene con ciò “culturale”, cioè definibile solo in termini di cultura.
La  coscienza è la capacità che nasce quando il produttore è consapevole della relazione con il
prodotto, relazione tra idea della cosa e la cosa da produrre o già prodotta, sia nello strumento
oggetto (artefatto) che nella rappresentazione visiva (immagine mentale).
Come è successo questo? Al di là della poca differenza genetica tra la nostra specie e quella delle
scimmie antropoidi, la nostra storia primordiale ha visto processi di mutazione genetica e
selezione naturale-sociale a seguito di un dispiegamento del corpo e dei suoi organi nel produrre e
riprodurre le condizioni della propria esistenza. La morfogenesi della specie è strettamente legata
alla sociogenesi, come due facce di una stessa medaglia: l’evoluzione è un processo di sviluppo in
cui la morfogenesi si realizza in relazione di interdipendenza reciproca con la sociogenesi. Per
questo la  distinzione natura/cultura per gli umani è definibile solo come grado 0 perché nel 
processo reale, concreto e storico le due facce appartengono unificate, inscindibili, interrelate,
interdipendenti… ad una sola medaglia che è la  specie. Insisto nel dire che motore di questo
processo sono le rilevanze cerebrali (e poi mentali) degli strumenti corporei (e poi oggettuali e
simbolici) attivati nella presa di possesso del  mondo. La relazione tra natura e cultura non è
configurabile come natura vs cultura, né natura+cultura, ma natura x cultura. Cioè la relazione
costituisce non un ente ma un processo. 
La mente come “luogo” dei processi cognitivi, epifenomeno rispetto all’organo del cervello, relai
di connessione tra il sé e gli ambienti (il  relai è un particolare tipo di interruttore che fa da
meccanismo di messa in relazione  di parti diverse, e non solo  di contatto tra queste parti,
conferendo un particolare tipo di connessione).
Il  pensieroviene assunto come insieme dei processi cognitivi, parte attiva di un “luogo”
costitutivo della specie (la mente), ed è organizzato secondo categorie.
Le  funzioni cognitive: la mutazione “naturale” del cervello, in relazione ed insieme al processo
ed alla trasformazione “culturale”, ha permesso nell’interazione sociale e tecnologica tra gli umani e
con l’ambiente l’accumulo e la trasmissione del  sapere; ha permesso lo sviluppo delle funzioni
cognitive specie specifiche, che sono:  percezione intermodale, controllo volontario, mediazione,
categorizzazione, memorizzazione, ordine sequenziale, automatismi.

Le  categorie del pensiero sono i criteri, campi di organizzazione del pensiero; le
concatenazioni, connessioni, messa in relazione,  classi logiche a cui il pensiero ricorre per 
organizzarsi e poter attivare il processo di significazione; queste sono tempo, spazio, quantità,
colore, relazionalità.

I processi cognitivi:

- si attivano in virtù delle funzioni:  percezione intermodale, controllo volontario, mediazione,
categorizzazione, memorizzazione, ordine sequenziale, automatismo;
- operano attraverso meccanismi neuro-fisiologici, tipo:  astrazione, attenzione, discriminazione,
identificazione, immaginazione, percezione, rappresentazione, simbolizzazione …
- si avvalgono di categorie del pensiero: tempo, spazio, quantità, colore, relazionalità;
- realizzano fenomeni di pensiero, tipo:  dislocazione, slittamento, trasferimento, riconoscimento,
finzione, riduzione, evocazione, ripetizione, conservazione, differenziazione …
- devono fare i conti con: circostanze e coincidenze.
Dal punto di vista cognitivo, l’incorporazione non è solo un processo di memorizzazione nel corpo
di un sapere generico (memoria mentale) o di un sapere tecnico  (memoria corporea) ma, proprio
come processo ed in quanto processo, è lo sviluppo di abilità della persona che si realizza con un
trasferimento e connessione di funzioni cognitive diverse, con una resa immateriale delle condizioni
materiali, delle regole dell’apprendimento, delle tecniche di produzione (materiale e immateriale).
E’ su questa base che si è allora costituita la capacità simbolica, la simboli-ficazione, cioè il fare e
sapere, o meglio, il saper fare ed il saper sapere.

(Contributo online)
                                               

sabato 21 gennaio 2012

NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA



La neuropsicologia cognitiva studia le prestazioni cognitive negli individui che hanno subito una lesione cerebrale, cercando di capire quali aspetti dell’attività cognitiva sono intatti o danneggiati e cercando di trarre conclusioni sui processi cognitivi normali.
Tali informazioni possono essere utili in quanto i risultati ottenuti da soggetti con deficit cerebrali nei compiti cognitivi possono essere spiegati da teorie che appartengono alla psicologia cognitiva. Diventa così possibile utilizzare le informazioni tratte dal comportamento dei pazienti con lesioni cerebrali per confutare le teorie proposte dagli psicologi cognitivi e proporre nuove teorie del funzionamento cognitivo normale.

Le origini della neuropsicologia cognitiva.

La psicologia cognitiva e la scienza cognitiva, costituiscono un programma unificante per lo studio della mente. 
Un modo per capire la psicologia cognitiva contemporanea è considerarla nel suo contesto storico. Ci sono stati cambiamenti sostanziali nella psicologia nel corso di questo secolo, cambiamenti che sono legati a mutamenti nel modo di concepire la scienza.
La visione fondamentale della scienza si fonda su tre assunti centrali:
1) la scienza è oggettiva;
2) lo scienziato deve registrare i fatti sulla natura attraverso l’osservazione e la sperimentazione;
3) la conoscenza scientifica è il risultato dell’amalgama di questi fatti in generalizzazioni tipo leggi.
Tuttavia, se questo approccio può sembrare applicabile alle scienze fisiche, lascia scoperte molte altre scienze come la psicologia o la sociologia, almeno fino all’avvento del comportamentismo, uno dei genitori della psicologia cognitiva.

- Il comportamentismo è stato influenzato da una versione estrema della tradizionale visione della scienza chiamata positivismo logico. Quest’ultimo sosteneva che le teorie potessero essere giustificate solo attraverso un appello ai fatti osservati e che i costrutti teorici fossero significativi solo se erano osservabili. Questa impostazione generale è stata resa concreta da comportamentisti quali Watson e Skinner, che hanno costruito una “psicologia scientifica” ammettendo solo le entità osservabili e rifiutando l’uso dei costrutti mentali ipotetici. L’enfasi era posta sulla relazione tra gli stimoli osservabili (aspetti della situazione) e le risposte osservate (aspetti del comportamento dell’organismo). 
Il paradigma comportamentista prevede uno stimolo che passa attraverso una black box e dà origine ad una risposta [S-->(BB)-->R]. Solo i fisiologi possono occuparsi della black box, mentre gli psicologi si devono occupare solo dei dati osservabili.
Il comportamentismo ha fallito il tentativo di soddisfare le aspettative e di essere una soddisfacente scienza dell’attività cognitiva umana; è ovvio che focalizzarsi esclusivamente sullo stimolo osservabile e sulla relativa risposta è del tutto non informativo per comprendere ciò che è effettivamente l’oggetto dell’interesse (es. i processi di pensiero e le strategie implicate nella soluzione del problema).
Questi limiti del comportamentismo hanno portato alla controrivoluzione della psicologia cognitiva.

La psicologia cognitiva. Con la psicologia cognitiva nasce il paradigma che prevede lo stimolo, il costrutto ipotetico e la risposta [S-->(HC)-->R). Tra i costrutti ipotetici ricordiamo: lo “schema mentale” di Bartlett, cioè la collocazione o setting organizzata di precedenti eperienze e reazioni (non si tratta di una collezione di immagini mentali, ma di una ricostruzione dell’esperienza passata che ci permette di reagire a nuove situazioni) e le “mappe cognitive” di Tolman, cioè rappresentazioni spaziali (ad es. del punto in cui si trova il cibo di un ratto all’interno di in un labirinto).
Dopo la seconda guerra mondiale si è sviluppata la corrente della psicologia dell’elaborazione dell’informazione.

La psicologia dell’elaborazione dell’informazione immaginò la mente come un meccanismo simile a congegni di trasmissione. Si postulò che l’informazione venisse filtrata, selezionata, raggruppata, etc...Brodbent fu un rappresentante di questa corrente che si sviluppò in Inghilterra. Il paradigma viene così modificato: [S-->(INFORMATION PROCESSING)-->R].

-In USA si utilizzò la metafora del computer : la mente non è altro che il software del computer che abbiamo in testa (nella nostra testa ci sono rappresentazioni cognitive della realtà esterna e programmi che operano su queste rappresentazioni). Il paradigma utilizzato è il seguente: [S-->SOFTWARE (rappresentazioni mentali)-->R].
In questo modo sono arrivati nella black box i concetti mentalistici, ma si ignorano ancora le basi neurali dell’attività mentale.
Nasce così la neuropsicologia, che insieme alla fisiologia si occupa della relazione tra substrato neurale e attività mentale.

- Secondo la neuropsicologia cognitivista nella scatola cranica si distingue un hardware (sistema nervoso) e un software (mente) innato, determinato geneticamente, plastico, che interagisce con l’ambiente. Il paradigma diviene il seguente: [S-->(SOFTWARE+HARDWARE)-->R]. Questo paradigma non è del tutto adeguato perchè il sistema nervoso è plastico, computer no; inoltre al computer vengono dati programmi già creati, il sistema nervoso se li crea da solo tramite l’esperienza. Il sistema nervoso ha sia processi infracognitivi (bottom up), dove non vi è l’influenza dei processi mentali (es. illusioni), sia processi cognitivi (top down).

Il riconoscimento da parte di uno dei maggiori comportamentisti (Tolman) che l’apprendimento, anche nei ratti, può essere compreso solo facendo riferimento a strutture interne e a processi, piuttosto che a risposte motorie, è stata una delle tappe più importanti nella storia della psicologia cognitiva. Un’altra influenza principale sullo sviluppo della psicologia contemporanea è la ricerca condotta dai neuropsicologi del XIX sec.; essi cercavano di spiegare i vari tipi di deficit delle capacità linguistiche in soggetti con lesioni cerebrali, ipotizzando danni a specifiche componenti per l’elaborazione del linguaggio. Essi cercarono, inoltre, di identificare le parti del cervello in cui queste componenti erano localizzate. 
Nonostante l’importanza dei primi lavori di James (memoria primaria e memoria secondaria, 1890), di Tolman (mappa cognitiva, 1932), degli psicologi del XIX secolo e di altri, è dunque solo nel corso degli anni ‘50 che la psicologia cognitiva è riuscita effettivamente ad affermarsi.
Nel 1958 Broadbent ebbe l’importante intuizione che si sarebbe potuto iniziare a comprendere meglio fenomeni quali la percezione, l’attenzione, la memoria a breve termine, costruendo una teoria basata sull’elaborazione delle informazioni che descrivesse il flusso di informazioni attraverso un sistema cognitivo unitario (la percezione, l’attenzione, la memoria non sarebbero sistemi separati).
L’avvento dei computer digitali è stato un altro fattore che ha influenzato il formarsi della psicologia cognitiva. Il computer era la metafora utilizzata per spiegare il funzionamento della mente: come il calcolatore, l’uomo era visto come un elaboratore di informazioni. Il calcolatore diviene metafora del pensiero umano; le teorie vengono espresse sottoforma di modelli computazionali.
Dagli anni ‘60 ai ‘70 era di moda seguire Broadbent, nel considerare gran parte delle attività cognitive come una sequenza seriale di stadi di elaborazione (stimolo-->processi attenzionali-->trasferimento dei prodotti dell’elaborazione percettiva iniziale nella memoria a breve termine-->processi di ripetizione-->memoria a lungo termine). In questo modo era possibile seguire il cammino dello stimolo in ingresso a partire dagli organi di senso fino alla memoria a lungo termine (M.L.T.). Limite di questo approccio teorico era quello di non permettere facilmente di spiegare alcune fondamentali attività cognitive quali il pensiero o la soluzione di problemi. Il modello a stadi sequenziali è una ipersemplificazione troppo grossolana: in realtà l’elaborazine è chiaramente condizionata dalla natura degli stimoli presentati, dall’esperienza passata dell’individuo, dalle sue aspettative etc... Il modello a stadi sequenziali affronta quasi esclusivamente l’elaborazione bottom-up o guidata dai dati in ingresso e il suo fallimento nel trattare l’elaborazione top-down (processi guidati dai concetti, dall’alto al basso), è la sua unica maggiore inadeguatezza.
Verso la fine degli anni ‘70 alcuni teorici tra cui Neisser (1976), iniziarono a sostenere che l’attività cognitiva è costituita da processi interattivi che si svolgono contemporaneamente, sia guidati dai dati (bottom-up), che guidati dai concetti (top-down). Questo sembra essere vero, in linea di principio, per tutti i processi cognitivi.
Alla fine degli anni ‘70 tutti gli psicologi cognitivi, in generale, erano d’accordo sul fatto che il paradigma dell’elaborazione di informazioni fosse il modo più adeguato per studiare l’attività cognitiva umana. In realtà questo approccio tende ad essere piuttosto limitato perchè il sistema cognitivo viene considerato in modo isolato rispetto alle influenze degli aspetti motivazionali ed emozionali ed anche perchè molto spesso le differenze individuali nel funzionamento cognitivo vengono ignorate.
Attualmente, la maggior parte dei ricercatori che lavorano nel campo della psicologia cognitiva, aderiscono, ancora oggi, ai principi generali dell’approccio dell’elaborazione delle informazioni. Ciò nonostante, il quadro attuale della disciplina è di notevole diversità sia negli scopi che negli approcci.


(Contributo  On-line)




mercoledì 18 gennaio 2012

IL COGNITIVISMO




La psicologia cognitiva è una branca della psicologia che ha come obiettivo lo studio dei processi mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, elaborate, archiviate e recuperate.

Descrizione 

Essa studia il funzionamento della mente come elemento intermedio tra il comportamento e l'attività cerebrale prettamente neurofisiologica. Il funzionamento della mente è assimilato (metaforicamente) a quello di un software che elabora informazioni (input) provenienti dall'esterno, restituendo a sua volta informazioni (output) sotto forma di rappresentazione della conoscenza, organizzata in reti semantiche e cognitive.
La percezione, l'apprendimento, il ragionamento, la risoluzione dei problemi, la memoria, l'attenzione, il linguaggio e le emozioni sono processi mentali studiati dalla psicologia cognitiva.
Il costruttivismo è stato spesso considerato come una corrente del cognitivismo, pur mantenendo una sua autonomia; alcuni dei suoi assuntiepistemologici di base sembrano però significativamente differenti da quelli tradizionali del cognitivismo (George Kelly, fondatore della psicologia dei costrutti personali, amava ripetere: "sfatiamo il mito che il costruttivismo sia collegato al cognitivismo").

Cenni storici 

La psicologia cognitiva nasce verso la fine degli anni cinquanta in parziale contrapposizione al comportamentismo. Quest'ultimo aveva gettato le basi per una psicologia fondata empiricamente. Il cognitivismo accetta il rigore metodologico del comportamentismo. Entrambe le discipline, infatti, si basano su una scientificità di tipo naturalistico, nel comune intento di assimilare lo studio della mente umana alle scienze fisiche.
La seconda metà degli anni cinquanta vide non solo il fiorire di nuove impostazioni teoriche e procedure sperimentali, ma anche la diffusione di una prospettiva differente da quella comportamentista dominante negli Stati Uniti: la prospettiva della psicologia cognitiva o del cognitivismo. Vi confluirono i contributi di discipline diverse: oltre alla psicologia sperimentale di impronta neocomportamentista, la linguistica, la teoria dell'informazione e la cibernetica, le neuroscienze e la filosofia della mente. Si considera abitualmente come "data di nascita" del movimento cognitivista il Convegno di Boulder (Colorado) del 1955, anche se alcuni fanno retrocedere questa data al lavoro di Claude Shannon sulla teoria dell'informazione del 1948.
Oltre all'impostazione interdisciplinare, la psicologia cognitiva aveva altri suoi aspetti caratteristici. In primo luogo, si interessava dei processi cognitivi (la percezione, l'attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività), che erano stati trascurati dai comportamentisti o considerati come dei prodotti dell'apprendimento. A questi processi veniva riconosciuta sia un'autonomia strutturale sia una interrelazione e interdipendenza reciproche. Un'altra importante caratteristica della psicologia cognitiva è che la mente è concepita come un elaboratore di informazione, avente un'organizzazione prefissata di tipo sequenziale e una capacità limitata di elaborazione lungo i propri canali di trasmissione. L'analogia tra mente e calcolatore era basata sulle nozioni di informazione, canale, sequenza di trasmissione ed elaborazione dell'informazione, strutture di entrata (input) e uscita (output) dell'informazione dell'elaboratore, strutture di memoria. Per spiegare tale organizzazione strutturale e funzionale si diffuse l'uso di diagrammi di flusso, formati da unità (scatole) e aventi ciascuna compiti definiti (percezione, attenzione, ecc.) e da vie di comunicazione.

Modelli cognitivi 


Modello TOTE: Test-Operate-Test-Exit (verificare, eseguire, verificare, terminare), esposto nel testo Piani e struttura del comportamentodi Miller, Pribram, Galanter.

Nei primi modelli cognitivistici, l'elaborazione dell'informazione era concepita come un processo che avviene per stadi consecutivi, terminate le operazioni proprie di uno stadio si passa al successivo, e così via. Negli anni '70 furono presentati nuovi modelli che mettevano in evidenza sia la possibilità di retroazione di uno stadio di elaborazione su quelli precedenti, sia la possibilità che si attivassero le operazioni di uno stadio successivo senza che quelli precedenti avessero già elaborato l'informazione per quanto li riguardava.
Un altro aspetto importante fu l'accentuazione del carattere finalizzato dei processi mentali. Il comportamento veniva ora concepito come una serie di atti guidati dai processi cognitivi ai fini della soluzione di un problema, con continui aggiustamenti per garantire la migliore soluzione. La nozione di “retroazione”, feedback, sviluppata dalla cibernetica divenne centrale in questa concezione del comportamento orientato verso una meta. Lo psicologo sperimentale del linguaggio George Armitage Miller, con le sue opere determinò un'autentica svolta nella rappresentazione del comportamento: il comportamento era visto come il prodotto di una elaborazione dell'informazione, quale è compiuta da un calcolatore, per lo svolgimento di un piano utile alla soluzione del problema. Il comportamento non era quindi l'epifenomeno di un arco riflesso (input sensoriale, elaborazione, output motorio), ma il risultato di un processo di continua verifica retroattiva del piano di comportamento secondo l'unità TOTE ( test, operate, test, exit): l'atto finale (exit) non consegue direttamente ad un input sensoriale o a un comando motorio, ma è il risultato di precedenti operazioni di verifica (test) delle condizioni ambientali, di esecuzione (operate) intermedie e di nuove verifiche (test). Nel 1967 uscì il libro dello psicologo statunitense Ulric Neisser, “psicologia cognitiva”, nel quale venivano sintetizzate le ricerche condotte nei dieci anni precedenti secondo la prospettiva che fu definitivamente chiamata cognitivistica. La letteratura sperimentale sui processi cognitivi crebbe a dismisura sostituendo le prospettive passate con la nuova prospettiva che si diffuse anche in campo della psicologia sociale e della psicopatologia. È comprensibile quindi che nei primi anni '70 si parlasse ormai di rivoluzione cognitivistica nella ricerca psicologica.

La revisione degli anni '70 

A partire dalla seconda metà degli anni '70 ebbe inizio un'opera di revisione teorica e metodologica all'interno del cognitivismo, che arrivò fino ad una parziale autocritica su quanto era stato acquisito nel decennio precedente. Fu ancora Neisser a riassumere in un testo del 1976 gli aspetti problematici essenziali emersi nella letteratura psicologica cognitivistica. Neisser affermava che il cognitivismo aveva apportato nuovi e importanti contributi alla comprensione dei processi cognitivi, ma allo stesso tempo era degenerato in una miriade di esperimenti e di mode, spesso privi di effettivo valore euristico. Si trattava di modelli generalmente relativi a situazioni di laboratorio e non estrapolabili a situazioni di concreto funzionamento della mente nella vita quotidiana ("wild cognition"); inoltre, avevano un interesse più teorico che realmente applicativo.
Neisser faceva un continuo riferimento all'impostazione teorica di James Jerome Gibson (approccio ecologico), che aveva una concezione cognitivistica di una costruzione della realtàesterna da parte della mente, secondo un'organizzazione sequenziale dell'elaborazione dell'informazione, stadio per stadio, ora invece criticata in base all'assunto che l'organismo nel corso dell'evoluzione si è dotato di sistemi sempre più economici e adeguati che consentono un'analisi diretta e immediata della realtà. Il richiamo alla validità ecologica degli esperimenti cognitivistici; la critica alla modellistica dei microprocessi e micromodelli all'infinito (le unità di elaborazione contenevano delle sotto-unità di elaborazione, e queste a loro volta delle altre, e così via: si trattava dei temi classicamente analizzati negli studi di HIP - Human Information Processing); l'esigenza di introdurre nel flusso dell'elaborazione dell'informazione processi relativamente trascurati, come la coscienza e la produzione di immagini; le innovazioni nel campo dell'informatica e della simulazione su calcolatore dei processi mentali; le nuove acquisizioni nel campo delle neuroscienze; tutti questi furono elementi fondamentali che attenuarono l'interesse per il cognitivismo "classico", o primo cognitivismo, già a partire da metà degli anni '80.

Il nuovo orientamento 

Non vedendo realizzata effettivamente una vera e propria rivoluzione paradigmatica, nei primi anni '80 molti psicologi finirono con lo sminuire la rilevanza teorica e metodologica del cognitivismo, arrivando fino a ritenerlo una continuazione, anche se in forma più sofisticata, del comportamentismo. Si diceva che aveva solo aggiunto dei processi intermedi tra lo stimolo e la risposta, ma il paradigma rimaneva sempre quello comportamentista. In questo contesto di riflessioni autocritiche da una parte, e di nuove acquisizioni in discipline di confine dall'altra, si sviluppò il nuovo orientamento della “Scienza Cognitiva”.

Il cognitivismo oggi 

La psicologia cognitiva è oggi una scienza fortemente multidisciplinare, che si avvale dei metodi, degli apparati teorici e dei dati empirici di numerose altre discipline, tra le quali: lapsicologia, la linguistica, le neuroscienze, le scienze sociali e della comunicazione, la biologia, l'intelligenza artificiale e l'informatica, la matematica, la filosofia e la fisica.
Dal punto di vista filosofico, la psicologia cognitiva assume la posizione ontologica del realismo critico, secondo la quale viene accettata l'esistenza di una realtà esterna strutturata, ma allo stesso tempo viene rifiutata la possibilità di conoscerla completamente. Questa premessa teorica lo distingue nettamente dal movimento comportamentista: l'oggetto di studio non è più (soltanto) il comportamento umano, bensì gli stati o processi mentali, precedentemente considerati interni ad una black box (o scatola nera) insondabile e non conoscibile scientificamente.
Tale presa di posizione nei confronti dello studio dell'attività mentale si traduce concretamente nell'affermarsi della concezione di comportamento umano come risultato di un processo cognitivo di elaborazione delle informazioni articolato e variamente strutturato (information processing).
Gli esiti più recenti dell'analisi dei processi cognitivi, incentrano queste dinamiche nei contesti sociali in cui si sviluppa il pensiero. Questo approccio basato sul cognitivismo, definito come teoria sociale cognitiva, studia infatti l'interazione tra cognizione e contesto sociale. La teoria sociale cognitiva riveste un ruolo molto importante sul versante di studio dellapersonalità. Una elevata importanza in questo nucleo teorico è attribuita alle riflessioni di Albert Bandura. Dai concetti elaborati da Bandura, hanno preso il via numerosi altri ricercatori, costituendo una corrente di pensiero che prende le mosse dal cognitivismo, costruendo un'analisi dei processi cognitivo-emotivi, incentrata sui contesti sociali che vedono tali processi esprimersi attraverso le condotte.
Un altro punto di riferimento nel panorama del cognitivismo contemporaneo è, nel campo della psicologia e della psicoterapia, il cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano. Egli, rielaborando i contributi teorici e sperimentali offerti da numerose altre discipline, apporta importanti contributi allo studio dell’evoluzione della mente umana, con risvolti innovativi nei campi dell’epistemologia, della psicologia sperimentale e della psicopatologia.

Bibliografia 

  • Ulric Neisser (1967) Cognitive Psychology, Appleton-Century-Crofts, New York.

(Contributo On-line)