lunedì 31 ottobre 2011

IL LABORATORIO CREATIVO




  1. L come Laboratorio

Ci sono molti modi di pensare un laboratorio.
Alcuni intendono laboratorio come un luogo in cui ci sono macchine, e vi si svolgono attività
produttive.
Altri intendono laboratorio come luogo di avviamento o di addestramento ad una qualche tecnica o mestiere . C’è chi intende laboratorio in termini di sperimentazione e ricerca scientifica (chimica-fisica-medica)…
Noi intendiamo laboratorio come luogo in cui è attivo - un gruppo di ragazzi condotto da un animatore adulto.
Se proprio vogliamo trovare un nome, anziché l’inglese workshop ci è più caro il francese atelier, nel quale ci sembrano prevalenti il fare, e l’essere; anziché l’apparire, il di-mostrare, per far acquistare.
Se vogliamo servirci di un’immagine per potercelo rappresentare e discuterne, più che ad una fabbrica pensiamo ad una bottega artigiana, nella quale c’è un maestro che dà poche spiegazioni, forse un po’ geloso del suo sapere, tuttavia lascia che gli allievi si guardino intorno, che imparino facendo, che trovino la loro strada, insieme.
Nel laboratorio creativo si svolge un attività, ma il suo scopo principale non è quello di apprendere una tecnica, nemmeno di produrre obbligatoriamente un prodotto.
Il suo scopo manifesto è di svolgere un compito dato, un’attività ludico-espressiva, ma il suo scopo latente è quello di produrre integrazione , di sviluppare relazioni, di aiutare a crescere.

  1. GC come Gioco Creativo

Il laboratorio creativo è polisemico, nel nome e nel cognome.
Intendiamo creativo nel senso che nel laboratorio i ragazzi svolgono attività espressive, ludiche, animative, attraverso le quali essi possono rappresentarsi in forme nuove, ricreandosi, reinventandosi, giocando nuove e impreviste identità.
Anche in questo caso ci può venire in soccorso la lingua: Giocare non è perdere tempo. Forse riusciamo a cogliere fino in fondo la molteplicità dei significati nell’inglese play, nel francese jouer:
in queste parole vi sono contemporaneamente il giocare, recitare, suonare, agire, attivare un ruolo, mettersi in gioco…
Creativo anche nel senso che, svolgendo attività di gruppo, essi , sviluppano nuove e personali relazioni con i coetanei, con l’altro sesso, e con gli adulti: in questo modo si misurano, si mettono alla prova, conoscono l’effetto che fa (l’emozione che si prova) nello stare insieme. che li aiutano a
crescere.

  1. G come Gruppo

Il laboratorio creativo promuove nei ragazzi la costruzione di un’identità sociale.
Proponendo di creare un gioco insieme, aiuta i ragazzi a percepirsi come gruppo, come qualcosa di più della somma delle parti (K.Lewin), come il risultato di un processo di integrazione durante il quale
ciascuno prende dentro di sé parti emotive dei coetanei e dona parti di sé ai compagni. Ciascuno, grazie al gioco di gruppo condiviso nel laboratorio, può avere così una chance in più per sviluppare dentro di sé un’identità sociale, un’identità plurale (D. Demetrio), frutto prezioso dell’incontro con le
parti di sé che l’altro rappresenta.
L’identità, potremmo sintetizzare, è un apprendimento sociale che porta a definire un sentimento di appartenenza, un Noi intrecciato ad un Io: è infatti il risultato di una relazione continua tra sé e l’altro;
è una costruzione individuale che avviene in un gioco di aspettative reciproche dentro un gruppo.
Moltiplicando le possibilità relazionali tra coetanei il laboratorio creativo favorisce la crescita delsenso d’identità sociale, provando a rimuovere barriere e blocchi, diffidenze nei confronti dell’altro, lo sconosciuto. Infatti i ragazzi del nostro tempo hanno sempre meno occasioni di confrontarsi,
competere e cooperare, con i coetanei. A loro è dunque particolarmente indicata un’occasione di incontro capace di diventare una palestra relazionale nella quale è possibile incontrare, a volte per la prima volta, qualcuno che non appartiene all’universo conosciuto.
Incontrare il diverso non significa solo conoscere da vicino un ragazzo che parla un’altra lingua. Nella nostra società policentrica, percorsa da una molteplicità di modelli di riferimento, ogni famiglia è
etnocentrica, e riconoscere nel proprio vicino uguaglianze e diversità è una strada che porta spesso ad un limite. Si tratta di una frontiera davanti alla quale i ragazzi si fermano: coloro che stanno al di qua vengono classificati come uguali, coloro che stanno al di là sono considerati estranei. Nella palestra
delle relazioni gruppi di ragazzi si contrappongono; impediscono l’accesso ad altri; tendono ad espellere coloro che non sono “uguali”: maschi contro femmine, grandi contro piccoli, veterani contro nuovi arrivati. Il laboratorio propone di creare una terra di mezzo, nella quale questi recinti possano
aprirsi, in cui si possa imparare a scontrarsi senza ferirsi, a uscire dai conflitti senza rancore, a provare il piacere della costruzione comune, a darsi regole condivise per giocare meglio.

  1. S come Set

Il laboratorio creativo aiuta il gruppo a costruirsi una propria pelle relazionale consentendo, attraverso l’attività ludica, lo sviluppo di esperienze emotive dentro la cornice del laboratorio.
Per i ragazzi costruire la propria identità passa attraverso l’accettazione della regola, del limite. Per essere o diventare qualcosa essi devono iniziare a popolare il proprio territorio interno di belle e buone cose, devono iniziare a costruire qualcosa dentro di sé.
Così il laboratorio creativo è istituito come un set 
a.Spaziale: è un luogo di incontro definito e riconoscibile come proprio. Potremo dire che è il muretto nel quale i ragazzi si ritrovano, come luogo di elezione e di appartenenza;
b. Temporale: ha un suo ritmo, ad esempio una cadenza bi-settimanale, un orario in cui esiste (apertura) e uno in cui non è possibile trovare nessuno (chiusura).
Il laboratorio vive dunque in un luogo fisico, ma è un luogo di relazioni: esso vuole rappresentare la creazione di un luogo interno, nel quale gli adolescenti sono invitati a entrare per costruire la propria avventura insieme.

  1. Aa come Animatore adulto

L’istituzione maggiore del laboratorio è la presenza dell’animatore adulto, che riassume in sé la tutela dello spazio e del tempo (fisico e relazionale), e la realizzazione del compito. Egli invita i ragazzi ad entrare, ad accettare il gioco proposto, a smettere di sostare sulla soglia in attesa di una realizzazione
magica dei propri desideri. Con la sua adultità capace di giocare e contemporanemente di assumere responsabilità l’animatore esercita una funzione di modeling nei confronti della quale i ragazzi agiscono numerose emozioni: il rifiuto, la rabbia, ma anche la stima e l’ammirazione.
Nella disponibilità di un adulto, ovvero di qualcuno che è già passato per la strada della crescita, a stare insieme a loro mettendosi in gioco, nel laboratorio si apre una via di comunicazione, fatta di azioni proiettive e introiettive. I ragazzi fanno così sentire all’animatore ciò che essi sentono, ed egli
prova ad rielaborare insieme a loro quei sentimenti mettendoli in gioco. Egli così testimonia ai ragazzi la possibilità di diventare grandi costruendo se stessi creativamente insieme agli altri, ma solo a patto di entrare, di stare dentro la cornice.
Sostare fuori dall’esperienza fa perdere la possibilità di vivere con gli altri l’azione creativa quanto entrarci permette di aprirsi nuovi orizzonti da esplorare. L’adolescente che sta sulla soglia è impegnato a chiedersi se starci o non starci, se mettersi alla prova oppure no. Ed è l’animatore che, 3
lanciando la sua proposta, lo aiuta ad entrare e a rinunciare al desiderio distruttivo di starsene fuori per accettare la sfida di mettersi in gioco.
L'animatore svolge una importante funzione narrativa nei confronti del gruppo: egli propone ai bambini di fare storie giocando a mettere in luce, a dare vita ai loro oggetti interni mettendoli fuori:
sono indizi, impronte; poi oggetti; infine veri e complessi personaggi.

  1. GS come GiocoStoria

Se il laboratorio creativo proponesse una situazione ludica ogni giorno nuova e piacevole, avrebbe finito per mostrare nel tempo la propria frammentarietà e ripetitività, costituendo per i ragazzi un cibo gradevole, ma poco nutriente per la crescita. La sua proposta di gioco invece aiuta i ragazzi a progredire, facendoli divenire attori protagonisti di un gioco-storia pensato come costruzione che si innalza nel tempo. Un gioco-storia capace di separare e collegare le tappe precedenti con le successive, realizzando un percorso che non ricomincia ogni volta da zero, ma che conserva le tracce della propria evoluzione.
Lo chiamiamo giocostoria, intendendo un gioco che, attraverso l’allestimento di uno sfondo narrativo va a collocare i vari eventi quotidiani (i bisogni e i desideri, le paure e i vissuti) in una griglia narrativa.
Nel giocostoria il compito del gruppo infatti, non è solo di giocare insieme, ma tende a far procedere i ragazzi ad un livello di integrazione superiore proponendo loro di realizzare qualcosa che parli di loro stessi, che racconti la loro storia.
Viene proposta un’ambientazione, cioè uno sfondo narrativo, uno spazio fisico e simbolico, all’attività del laboratorio: in questo modo si vuole fornire al gruppo una rete di comunicazione e comprensione reciproca, una possibilità di connettere i frammenti dell’identità integrando i vissuti dei ragazzi.
Il laboratorio diventa così un atelier di storie, un’officina in cui i frammenti di gioco e di vita vengono cuciti insieme per realizzare una storia di tutti capace di comprendere la storia di ciascuno. Una storia che aiuta a separare e integrare passato, presente e futuro, rinforzando il sentimento di identità sotto
il profilo dell’integrazione temporale.

  1. M come Motivazione

Per i ragazzi realizzare un prodotto collettivo, una giocostoria, non è facile.
Significa distinguere storie e desideri, realtà e sogni, radici e frutti, ma imparando a tenerli uniti in un’idea di progetto, di impresa da realizzare.
Si aiuta il ragazzo a crescere accettando la regola in maniera creativa. Infatti scegliere di fare una cosa significa abbandonare l’idea di poter realizzare ogni cosa, ma significa anche andare fino in fondo, realizzarla per davvero. Accettare un’impresa comune vuol dire cercare mediazioni creative con la
realtà dei tempi, con le risorse a disposizione, con le competenze di ciascuno, con le relazioni nel gruppo pur di arrivare alla fine, di veder realizzato concretamente il proprio desiderio. I desideri di abbandonare l’impresa sono in agguato, soprattutto quando essa mostra le sue parti deludenti:
l’oggetto non è mai come si desiderava, ma è sempre una sorpresa nata dall’incontro tra desiderio e realtà, io e gli altri… Più semplicemente potremmo dire che, come nella celebre favola di Esopo, il laboratorio basato sulla giocostoria intende aiutare a non disprezzare l’uva semplicemente perché
non si riesce a raggiungerla.
Tentando di tradurre le idee in realtà condivisa, il laboratorio aiuta i ragazzi a sopportare l’interposizione di un tempo d’attesa tra il desiderio e la sua soddisfazione. L’esperienza dell’assenza stimola lo sviluppo del pensiero; aumentando la capacità di mantenere l’oggetto del desiderio dentro
di sé, senza abbandonarlo. Il tempo dell’attesa è come un ponte tra la riva del desiderio e la riva della realtà. Accettare il limite imposto dalla realtà pensando la trasformazione è un grande problema dei ragazzi d’oggi, alle prese con la difficoltà a custodire il desiderio, corteggiare l’idea, trasformandola in
tenacia nel perseguire l’obiettivo. Saper leggere le esperienze parziali che la realtà fornisce in connessione tra di loro, aiuta e percerpirsi in maniera integrata e non frammentaria, aiuta a vedere una relazione tra sé e la realtà, tra il presente e il futuro. 

8. FN come Fili e Nodi del laboratorio

Possiamo individuare i momenti di snodo che segnano l’evoluzione del gruppo dentro il laboratoriocreativo.
In un primo tempo i ragazzi vengono invitati dall’animatore, attraverso giochi di presentazione, a portare qualcosa di sé, a lasciare una propria traccia, a costruire la propria carta d’identità.I ragazzi hanno così occasione di definirsi, di farsi chiamare per nome, di scegliersi un’identità con la quale mettersi in gioco. E’ la fase che prende il nome di “individuale” nel senso che ciascuno rappresenta, attraverso ciò che costruisce, ciò che è, esprime come si sente.
La seconda fase inizia nel momento in cui quegli oggetti, quelle identità vengono messe in gioco, vengono scambiate. E’ una fase che mette in campo una notevole carica vitale, piena di proposte, di energia, ma anche di conflitti, di rifiuti, di fughe. Ma restando dentro il laboratorio, in un terreno
simbolico, dentro la sfondo narrativo, si apprende a non agire in maniera pericolosa i propri sentimenti.
La terza fase realizza la sintesi, dichiara il livello di integrazione raggiunto dal gruppo.
Viene chiamata fase del prodotto collettivo: in esso sono racchiuse le esperienze fatte nel laboratorio;
ma sono racchiuse anche le esperienze dei compagni di laboratorio.
A volte ogni cosa sta insieme all’altra in maniera giustapposta (diciamo un’integrazione di tipo condominiale) in cui i prodotti dei singoli sono ancora riconoscibili ed estraibili.
A volte il livello di integrazione è maggiore, e il gruppo si trova davanti ad un prodotto nuovo, che è qualcosa di più della somma della parti. In ogni caso si ratta di un percorso integrativo utile alla crescita.

  1. T come Tribù

Per comprendere come si sviluppa l’integrazione sociale nell’arco di tempo in cui si articola il laboratorio, seguendo alcune riflessioni di Donald Meltzer, possiamo dire che il gruppo tende a mettere in atto dei comportamenti simili a quelli di una piccola tribù, cioè crea la propria avventura attraversando tappe simili a quelle che l’umanità ha passato nel percorso dalla preistoria alla storia.
Inizialmente i ragazzi sono sconosciuti, nemici l’uno all’altro in quanto pieni di paura di essere aggrediti. Nei primi tempi essi sviluppano forme di difesa del territorio dalle invasioni altrui, costruendo tane, case,segnando confini , innalzando steccati, postazioni di vedetta e simili.
A poco a poco, e grazie alla presenza di un mediatore, essi iniziano a dialogare e a costruire un proprio linguaggio, fatto di oggetti, comportamenti, parole che stabiliscono un più livello di scambio:
passata la ricerca delle condizioni di convivenza, ora si cercano le regole della comunicazione.
Nascono linguaggi segreti come esordio di una cultura del gruppo, fioriscono miti e ritualità d’ingresso e d’uscita dalla storia come segni di una appartenenza.
Nei laboratori si realizzano quiz, prove, giochi, inviti, destinati a chi arriva tardi: 
prove d’ingresso per conquistare il diritto a partecipare, a far parte.
L’esigenza di uno scambio umano è rappresentata in forma figurata attraverso la realizzazione di mercatini, fiere in cui ciascuno mette in mostra quello che realizza, ciò che ha da mettere in comune.
Dal baratto presto si passa al conio di monete valide dentro il gruppo capaci di regolare lo scambio . In questa fase ogni membro inizia a pensare il gruppo come un insieme di ruoli e aspettative, ovvero sente di partecipare, di esser parte di un insieme di relazioni.
Alla fine del laboratorio ogni gruppo porta a termine la propria storia creando un oggetto collettivo e ognuno realizza un oggetto individuale. A volte si tratta di una rappresentazione, di una canzone, di un murales, di una festa… L’oggetto condiviso sintetizza in sé il senso di appartenenza raggiunto, il
quale permette al ragazzo di sentire un gruppo interno, ovvero di pensare il gruppo anche quando i suoi amici non ci sono, di sentire i compagni e l’animatore come personaggi testimoni della propria vita, amici invisibili che egli può consultare in ogni momento giacchè sono diventati parte del sè.
Al termine dell’esperienza egli se ne torna a casa, portando dentro di sé questo oggetto interno e in mano un oggetto concreto: nel loro insieme essi simboleggiano la costruzione di un Io intrecciato ad
un Noi, ovvero la possibilità di continuare ad andare per altri mondi (in famiglia, a scuola) più ricco e forte di un senso nuovo di identità , capace di continuare a crescere .


Riferimenti Bibliografici

- D. Canciani, P. Sartori. Dire, fare, giocare. Armando 1997.
- D. Canciani. Appunti per un modello di laboratorio evolutivo, in Animazione Sociale, n. 4/93
- D. Canciani. Un laboratorio per imparare a giocare, in Cooperazione educativa, n. 4/95
- D. Canciani. Il laboratorio creativo ripercorre la storia della civiltà umana. Atti interni Cee
Venezia 98
- D. Canciani. Il gruppo è vita, tutto il resto è noia. L’esperienza grippale in una classe di
adolescenti, In Animazione Sociale n. 2/2005
- M. Delpiano. Una relazione che riconosca il cambiamento. In Animazione Sociale n.6-7/99
- D. Demetrio, D. Fabbri, S. Gherardi. Apprendere nelle organizzazioni. La N. Italia scientifica
- L. e R. Grinberg. Identità e cambiamento. Armando
- G.P. Quaglino, S. Casagrande, A. Castellano. Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo. R. Cortina
- P. Sartori e P. Scalari (cura). Il bambino trasparente,. Franco Angeli
- Sartori e Scalari (cura) Adulto e Bambino. Una relazione per crescere. Marsilio ed., Venezia
91
- P. Sartori. Storie di ragazzi e ragazze. In Animazione Sociale n. 5/2000
- P. Sartori. Un laboratorio per diventare gruppo. Preadolescenti alla ricerca del proprio essere
sociale, In Animazione Sociale n.3/2005
- D. Winnicott. Gioco e Realtà. Armando
- P. Zanelli. Uno sfondo per integrare. Cappelli

(Contributo On-line)

Nessun commento:

Posta un commento