La Psicologia di Comunità è un’area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge in modo particolare all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale. Si occupa pertanto di problemi relativi alla promozione del benessere, alla tutela della salute, al settore dell’igiene mentale, alla formazione di operatori in vari campi del lavoro sociale, ecc. Si indirizza per altro anche a problematiche di più ampio respiro che insorgono nella vita associata quali ad es., quelle dell’educazione, dell’orientamento scolastico e professionale, dell’occupazione e della disoccupazione, della sicurezza personale e sociale e della partecipazione all'istituzioni ed organizzazioni della società organizzata. La Psicologia di Comunità fa propria, per un verso, l’ottica della tradizione clinica che guarda all’essere umano in quanto portatore di un problema e, dall’altro, considera l’essere umano non come un individuo isolato, ma come un essere sociale. Ciascuno individuo attualizza nel contesto sociale le sue competenze specie-specifiche di ordine biologico e psichico: i processi psicologici sono dunque strettamente interconnessi con quelli sociali.
Il concetto di comunità vale a specificare il senso di questa articolazione imprimendole un significato particolare. Tale concetto, infatti, sottolinea il valore (psicologico e politico) della relazione umana vista nel suo inserirsi nel quadro di un’attiva partecipazione al gruppo sociale nella sua territorialità locale. Ovviamente il concetto di comunità non è quello della «comunità organica» dell’idealismo tedesco: quello cioè di un’entità collettiva che trascende l’individuo e su di esso si impone quale unica dimensione in cui egli può trovare dignità, identità e completezza psicologica. La comunità non è da intendersi in opposizione all’idea di «individuo come principio e come valore»: è piuttosto uno strumento per dare forza alla dignità e all’identità personale nell’ambito di una società democratica capace di sviluppare questi valori attraverso le sue istituzioni e i servizi che offre al cittadino, proprio perché tutela nello stesso tempo i principi di solidarietà, di partecipazione, di uguaglianza.
La specificità della psicologia di comunità è data dalla considerazione dell’essere umano, quale coacervo di aspetti cognitivi ed emotivi, inserito nella realtà sociale.
L'essere umano non è un soggetto che reagisce passivamente agli stimoli esterni ma un soggetto che costruisce il mondo in modo attivo dal punto di vista della conoscenza, dell'emozione e dell'azione. Analizziamo nello specifico le tre dimensioni:
- "Cognizione": un individuo, posto davanti ad un oggetto, lo assimila integrandolo con conoscenze pregresse e costruisce una rappresentazione dell'oggetto (d’accordo con Neisser la conoscenza è frutto di una continua transazione dell'individuo con il mondo).
- "Emozione": l'essere umano connette il vissuto emozionale esperito con cognizioni che modulano e definiscono l'emozione stessa e la risposta comportamentale. Tale valutazione cognitiva (appraisal) dell'emozione, può anche seguire il processo di una dinamica inconscia.
-"Azione": Il concetto di azione lega il soggetto alla dimensione dell’agire in un contesto. Il soggetto dell’azione non è quello del modello behaviorista, è anzi in contrapposizione ad una visione meccanicista: il soggetto in questione agisce intenzionalmente e modifica l’ambiente sul quale agisce. L’individuo possiede capacità di autodeterminazione: dunque non solo soggetto desiderante e conoscente, ma soggetto attivo, capace di fare e di cambiare, dotato di risorse e non solo di difese.
Passiamo ora a definire nello specifico il concetto di Comunità. Essa costituisce uno stato particolare che ogni collettività può assumere, e non necessariamente una collettività concreta (Gallino “Dizionario di sociologia”, Torino, 1993). Una collettività può essere definita una comunità quando i suoi membri agiscono reciprocamente e nei confronti di altri, non appartenenti alla collettività stessa, anteponendo più o meno consapevolmente i valori, le norme, i costumi, gli interessi della collettività, considerata come un tutto, a quelli personali o del proprio sotto-gruppo o di altre collettività. Si parte dalla polis di Aristotele fino all’accezione di Comunità proposta dal Romanticismo sulla base della nozione di sentimento: prima quella del filosofo e teologo tedesco Schleiermacher, poi quella di Tönnies, che definisce la comunità come un organismo naturale in cui prevale una volontà comune, prevalgono gli interessi collettivi, i membri sono scarsamente individualizzati, l’orientamento morale e intellettuale è dato da credenze di tipo religioso, la condotta quotidiana è regolata dai costumi, la solidarietà è globale e spontanea, la proprietà comune. Nella società, al contrario, domina la volontà individuale, gli interessi dei singoli prevalgono, i membri sono fortemente individualizzati, l’azione di ciascuno è orientata all’opinione pubblica, la moda controlla l’agire quotidiano, la solidarietà si realizza solo in termini contrattuali e ruota intorno allo scambio di merci e servizi, la proprietà privata predomina. Si ha una comunità quando l’orientamento dell’azione si fonda sull’appartenenza reciproca soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) dai membri, si ha società se ci sono interessi motivati razionalmente. Nel primo l’orientamento dell’azione è emotivo e tradizionalistico, mentre nella seconda è razionale rispetto allo scopo e al valore. In realtà, le relazioni sociali, secondo Weber (1922), hanno in parte carattere di una comunità e in parte il carattere di un’associazione.
Da qui si può evincere che la Società è una popolazione, una collettività insediata su un territorio delimitato da cui è escluso l’insediamento e il transito in massa di altre popolazioni, i cui membri condividono da tempo una medesima cultura, sono coscienti della loro identità e continuità collettiva, hanno tra di loro rapporti economici e politici, nonché particolari relazioni affettive, strumentali, espressive, complessivamente più intensi ed organici che non i rapporti e le relazioni che hanno con altre collettività. E’ dotata di strutture – che possono assumere forma di organizzazione o di stato – parentali, economiche, politiche, militari, per mezzo delle quali la popolazione è capace di provvedere ai principali bisogni di sussistenza, produzione e riproduzione biologica, materiale e culturale, di difesa interna ed esterna, di controllo del comportamento individuale ed associativo, di comunicazione e di distribuzione delle risorse (Gallino, “Dizionario di sociologia”, Torino,1993).
Dal concetto di società si passa a definire quello di Stato. Tale termine è spesso usato per denotare l’insieme di una società, cioè una data popolazione con i suoi organi di governo che occupa un territorio delimitato da cui sono escluse altre popolazioni. In termini sociologici la natura, il contenuto, la forma dello Stato, come parte della società, variano secondo due dimensioni: le funzioni che svolge, le strutture sociali in cui si realizza. Lo Stato è una caratteristica universale delle società umane.
Uno dei limiti della psicologia tradizionale è stato determinato dal voler considerare esclusivamente il Soggetto epistemico, la psicologia di comunità assume come nucleo imprescindibile della propria indagine l’analisi del Soggetto in situazione.
I fenomeni sociali e i concetti che essi comportano quali, quello di giustizia, dignità, libertà, sono strettamente legati al problema dell’etica e della moralità che regolano l’individuo all’interno della società, un individuo che sempre più agisce, sceglie e traduce le idee in fatti.
La norma sociale, la moralità divengono un aspetto fondamentale dell’interfaccia individuo-società.
La libertà oggi è sempre più potere di, al di là di ogni norma morale, ma sempre più necessità di una moralità che diventi norma. In una società che si regola secondo le leggi di un’economia di mercato, le disuguaglianze crescono appiattendosi verso il molto alto e verso il molto basso, chi ha molto potere lo ha ancora, chi invece ne ha meno, ne avrà sempre meno. E’ questo lo scenario nel quale ci muoviamo.
La visione etica contemporanea si basa sulla consapevolezza che la morale è guidata da una ragione e pertanto si può essere fiduciosi nella capacità razionale umana: c’è la possibilità di autocorreggersi, di rivedere i propri errori e quindi anche di spingersi ad agire, ad essere più concreti. E’ questo fondamento che motiva l’impegno etico-sociale.
Il discorso sulla morale diventa ancora più complesso quando si intreccia con il discorso politico. Si può ben dire che non esiste una politica senza morale, potere e libertà sono strettamente legati alla questione della giustizia e del bene. Sandel e Taylor sostengono che una giustizia neutrale, indipendente da una concezione del bene sia del tutto insostenibile. Secondo costoro depositaria del bene è la comunità, come luogo di appartenenza geografico, sociale, culturale. Il bene comune è anche il metro del bene individuale. Da questa concezione si può estrarre un concetto che ne diventa l’asse portante che è l’individualismo, secondo cui il soggetto con la propria capacità di scegliere, con le proprie azioni di cui diviene pienamente responsabile, costruisce una norma morale prettamente orientata in questo senso, cioè su misura delle sue effettive capacità, che se da un lato lo fanno sentire pienamente uomo, nel pieno dominio di sé, dall’altro, lo isolano e atomizzano. Taylor, in particolare, sottolinea il grosso rischio a cui si può andare incontro : “ La dignità umana è sempre legata a qualche forma di società (…) al di fuori della società viene minata alla base la possibilità stessa di realizzare ciò in cui la dignità stessa consiste”.
(Contributo On-line)